Frusta, giacca da aviatore e fedora, bastano questi tre elementi per identificare subito Indiana Jones, uno dei personaggi cinematografici più amati di sempre dai quei bambini (negli anni ’80 e ’90) che ora sono adulti stupiti nel constatare che il loro (nostro) Indy è sfacciatamente pronto a duellare in casa con le mode cinematografiche del momento.  

Stupore, ma anche scetticismo perché Indiana Jones è un’icona del cinema popolare al pari di James Bond o Rocky Balboa. Riporre a distanza di anni un personaggio di questo calibro è un’impresa ardua e subito viene da pensare che dietro al nuovo rilancio ci sia soltanto la stantia ostinazione per il retrò e il dio denaro.

Questi due fattori o forse, chiudendo tutti e due gli occhi e ascoltando solo il cuore, il voler fare amare un eroe atipico ai bambini di oggi, hanno costretto l’amato archeologo ad una nuova comparsa sullo schermo con più anni che pesano sul primo piano e un’espressione ancora colpevole per il disastroso Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, uscito nel 2008.

Indiana Jones, creato da George Lucas e Philipp Kaufman e impresso su pellicola per la prima volta da Steven Spielberg nel 1981 (I predatori dell’arca perduta) è un personaggio che a differenza dei suoi “colleghi” coevi non usava i muscoli e la forza bruta bensì arguzia, sarcasmo e senso dell’umorismo. Caratterizzazione che poi sarà quasi il nuovo cliché dell’eroe dei film se si pensa a John McLane/Bruce Willis di Die Hard o Martin Riggs/Mel Gibson di Arma letale

L’ispirazione per la nascita di Indiana Jones viene sicuramente dalle grandi imprese dei leggendari archeologi come “Il rapace di Troia” Heinrich Schliemann o Hiram Bingham che nel cercare una introvabile città Inca scoprì Matchu Pitchu. Tuttavia in Indy è facile ritrovare echi del pragmatismo avventuriero dei romanzi e dei racconti suoi pionieri di Jack London e soprattutto l’ironia delicata, ma affilatissima che esce dalle pagine picaresche di Mark Twain.   

Indiana Jones, erudito professore universitario, stimato da colleghi e studenti (soprattutto studentesse), ha una sorta di doppia vita: da un lato quella di accademico e dall’altro quella di sudato esploratore e temerario uomo d’azione sprezzante dei pericoli (eccezion fatta per i serpenti).  

Proprio il lato da “onesto filibustiere” è quello che ci ha fatto amare il personaggio: Indiana Jones prende a cazzotti i nazisti, risolve enigmi, è cosmopolita e umanista. É coinvolto perché uomo di scienza e si ritrova esposto a rischi e a dover dare prova di grande coraggio, insomma a fare l’eroe al pari di Teseo o Ulisse.

Il vissuto che lo rende umano e credibile agli occhi degli adulti è segnato dalla sua incauta propensione per le donne e dalle sue relazioni familiari fallimentari o con molti non detti da risolvere. Una persona normale insomma, capace si di sfuggire a massi rotolanti (recuperando persino l’onnipresente cappello), ma imperfetta e fallace nel vivere accanto agli altri.

Sono passati più di quaranta anni dal suo debutto nel mondo dell’immaginazione dei bambini, tra una polverosa miniera, fanatici religiosi e lugubri cripte Indy corre ancora nei meandri della fantasia e non ci rimane che aspettare il quinto capitolo per tornare bambini, accantonando le perplessità dovute all’operazione meramente commerciale del quinto capitolo e concentrandoci sul fatto che un pezzo della nostra infanzia, lo stesso che si era scontrato la realtà del vero mestiere di archeologo (resa poi ancora più deludente dalle gesta video-ludiche di Lara Corft), è approdato al Festival di Cannes, dove riesce a coesistere con la vera arte del Cinema.