“Scrivi di quel che conosci”. Di solito è questo il consiglio che si dà a uno scrittore in erba. Léonard, uno dei protagonisti di Non-Fiction (Double Vies) di Olivier Assayas in concorso alla settantacinquesima Mostra d’Arte CInematografica di Venezia, ha preso fin troppo alla lettera questo suggerimento. Più o meno affermato, l’autore è finito in una spirale autobiografica che gli crea non pochi problemi e polemiche sia con gli amici e conoscenti che con i propri lettori. La compagna Valerie non sembra sostenerlo mentre ha le proprie gatte da pelare come portaborse del politico David. Dall’altra parte della barricata lertteraria c’è Alain (Guillaume Canet), l’editore di Léonard, poco convinto di pubblicare il suo ultimo manoscritto, al contrario della moglie Selena (Juliette Binoche), che lo trovo forse il suo lavoro più sincero.
La storia delle due coppie e di chi gravita loro intorno è in realtà un puro pretesto per Assayas per parlare della situazione della letteratura, del giornalismo, del cinema, della serialità oggigiorno in Francia: lo fa mettendo le riflessioni in bocca ai personaggi, mentre si ritrovano a confrontarsi in una sorta di moderni salotti letterari. Si parla principalmente del passaggio dal cartaceo al digitale, dai libri agli e-book, dai quotidiani ai blog, dal cinema alla televisione. Si parla insomma di cambiamento, tutto attraverso i dialoghi. La regia è infatti praticamente assente in Non-Fiction, si dà maggiore importanza alla parola, forse addirittura più che nelle sceneggiature di Aaron Sorkin. Si discute e ci si confronta tanto in questo film, come quando ci si riunisce con gli amici e colleghi di lavoro a cena. Poca importanza sembra essere affidata anche agli ambienti o alla fotografia, se non per contestualizzare la classe sociale dei protagonisti, quella della borghesia. Dato che si parla di scrittura sotto varie forme, a tenere le fila della pellicola è la parola.
Double Vie rimanda al neonato genere letterario dell’autofiction, la vita di Leonard e la sua scrittura oscillano incessantemente tra verità e menzogna, tra identità e differenza.
I punti di forza del film sono anche i suoi punti di debolezza. Gli stessi giornalisti e critici discutono ogni giorno di queste tematiche e situazioni, e di come “risolvere” il gap fra vecchio che tende a scomparire e nuovo che si appresta a stabilirsi come nuovo status quo dei media.
Una soluzione unanime ancora non esiste e questo film non prova in fondo a fornirla, offre solamente degli spunti su cui riflettere. Allo stesso tempo la meta-testualità del racconto risulta forse troppo “piena” di pensieri, sciorinati quasi come un flusso di coscienza senza fine. Tanto che forse Non-Fiction sarebbe stato un ottimo episodio pilota per una serie televisiva, da sviluppare in più stagioni. Ma qui siamo al cinema.