Personalmente evito la tecnologia entro i limiti del possibile, videogames esclusi: il vecchio Nokia scomposto in tre pezzi, tenuto saldamente con lo scotch, è quasi un’estensione della mia psiche. Inoltre so di essere perennemente e testardamente in ritardo. Ora, tuttavia, ho quasi capito come far funzionare un semplice tablet e mi accingo a scrivere l’articolo. Vittoria. Propongo a freddo Il Corvo, due righe che partono dalla tragedia umana di James O’Barr e arrivano alla tragedia fatale di Brandon Lee. E non c’è un cazzo da stare allegri.

Il buon vecchio James passa la sua infanzia in un orfanotrofio di Detroit dopo l’abbandono da parte dei suoi genitori. Nel ’78 stava passeggiando con la sua fidanzata e la vita sembrava avergli donato qualche attimo di beatitudine, ma un ubriaco al volante falciò l’amata Bethany, strappandogliela per sempre e generando in lui un

senso di colpa che mai riuscirà a colmare. Ci prova prima arruolandosi tra i

Marines e poi di nuovo, nel 1981, con il fumetto che tutti conosciamo Il Corvo. Che gran bel lavoro! Con quelle tavole inquietanti O’Barr narra il suo dramma personale ispirato anche da un ritaglio di giornale che riporta l’omicidio di una giovane coppia per un anello da venti dollari, amalgamando il tutto con sapiente violenza e melanconia.

La storia è quella del poeta Eric, ucciso assieme all’amore della sua vita da una banda di criminali. Una forza sovrannaturale incarnata in un corvo insieme al desiderio di vendetta lo riporta in vita, rendendolo immortale nonostante rimanga soggetto ai dolori e alle sofferenze. Il nuovo folle Eric eliminerà via via tutti i responsabili dello stupro ai danni della compagna Shelly, fino a trovare la pace al suo fianco per l’eternità.

Il fumetto si presenta in una forma dannatamente dark, la tristezza che trapela pare perseguitare il lettore fino all’ultima pagina. Si tratta di un’opera maledetta che ha piazzato nel panorama mondiale del fumetto non pochi punti saldi alla quale molti artisti s’ispirano tutt’oggi – l’onnipresente melanconia di Schermata 2015-02-18 alle 18.37.27 ne è fulgido esempio.

Insomma, un fumetto da leggere e rileggere come pochi se ne possono trovare in giro; disegnato e scritto con una lucidità d’argomenti e un tratto distintivo fuori dal comune.

Poi arriva il film. Quasi sicuramente l’ho recuperato tardi perché ho letto prima il fumetto, grazie ad un amico che a metà degli anni ’90 era il mio mentore ufficiale (bastardo suicida ovunque tu sia, riposa in pace). La pellicola che avrebbe lanciato

Brandon Lee nell’olimpo delle star hollywoodiane e diciamo pure avrebbe perché Brandon morì per opera dello stesso malocchio gravato sul padre Bruce, in circostanze misteriose a causa di un vero colpo di pistola che lo colpì durante le riprese di una scena tra le più dolorose della pellicola.

L’adattamento cinematografico porta la firma del visionario Alex Proyas e nonostante i vari problemi di produzione è riuscito a diventare un vero e proprio cult, arrivando al cuore dei più che lo rivedono ancora come una gemma tra i cine-comic. Gemma, difetti a parte, lo è davvero. Alex Proyas tecnicamente era molto preparato, e l’effettistica, piroette, voli, giochi di luci e la saturazione del colore confermano a pieno la competenza del regista e del suo staff, un po’ troppo presto dimenticati.

Certamente non mancano dei dubbi sul risultato, ma per quel che mi riguarda, a distanza di oltre vent’anni, non posso far a meno di notare tutte le ambiguità di cui il film è infarcito: come giustificare lo scotch nero che senza una spiegazione plausibile misteriosamente appare sulle mani di Eric? La violenza non è minimamente comparabile a quella del fumetto. A tale proposito ricordo solo qualche striscia in cui Eric armato di katana mutila gambe e piedi ad alcuni sgherri, davvero da brividi, per freddezza in primis.

E’ anche vero che i difetti che ravviso nella pellicola di Proyas sono complessivamente attribuibili al lavoro in post-produzione, dove non solo fu necessario ricreare con l’allora arretrato computer Brandon Lee (elogi per il pugno allo specchio!), ma anche tagliare parti fondamentali di sceneggiatura; non si è mai capito perché, forse solo per questioni di durata. Eh già. Che bei tagli furono fatti! Eliminarono del tutto il personaggio ultraterreno del Cowboy, una specie di zombie-guida che accompagnava Eric nei suoi omicidi, ricordandogli che, portata a termine la sua crociata, lo attendeva comunque la morte e la dannazione.

Ancor oggi mi dà terribilmente fastidio l’omissione del ritorno all’umanità corporea del protagonista per aver aiutato una tossicodipendente a liberarsi della droga. L’Eric di O’Barr non doveva assolutamente interagire e aiutare gli esseri umani, e questa sua mancanza lo porta a tornare ad essere di carne e sangue, in quel momento Funboy, che tutti credevano morto, lo attacca armato con un rasoioSchermata 2015-02-18 alle 18.31.01 e lo sfregia irreparabilmente alle mani (ecco perché quel dannato scotch nero!!!).

Senza abbandonarci a lunghe divagazioni, tutti ci ricordiamo del comico Skank (<<Mi sento come un verme infilzato su un amo>> o

anche <<T-Bird sono quiii!>>), del bastardissimo Top Dollar (grande interpretazione di Michael Wincott), della dolce bimba Rochelle Davis, del mitico doppiaggio di Luca Ward mai così in forma, in fine dell’odiosissima frase Non può piovere per sempre che, di tanto in tanto, sento ancora ripetere con una certa verve.

Insomma, il film non è per nulla male e ha dei punti davvero cool, ma l’annuncio di un imminente remake mi intristisce non poco.

Roba totalmente insensata si può trovare invece recuperando i vari sequel: cazzo, La città Degli Angeli è davvero da bruciare la pellicola, senza appello… Salvation molto migliore, ma c’è tutta la pippa sulla storia padre/figlioletto che è davvero insostenibile), poi la squallida serie televisiva (anche se qualche raro momento di lucidità ce l’ha, ma non basta).

In ogni caso, Il Corvo, quello vero e originale, resta comunque inimitabile con il suo particolare stile. Osservando i cine-comic di oggi, nessuno forse ha osato come Proyas all’epoca e nessuno oserà a quei livelli raccontando una favola al contrario, degradata fino al midollo, in cui la redenzione e la pace si pagano a prezzo carissimo e l’amore è un fiocco di neve circondato da fiamme d’inferno. Riguardatelo. C’è dell’epica dietro Eric Draven. Epica seria è poi quella di James O’Barr, non puttanate. Che possa essere conservata negli anni a venire.