Venom: la furia di Carnage. Un sequel obbligatorio.
Un sequel di Venom al cinema era necessario per almeno tre motivi.
Per prima cosa serviva aggiungere materiale all’immaginario cinematografico dello Spiderman interpretato da Tom Holland, tentando di assecondare le esigenze e gli accordi di produzione (Marvel Studios, MCU e Sony Pictures).
Poi bisognava colmare, in qualche modo, il gap tra boxoffice e critica: il film aveva incassato più di 850 milioni di dollari in tutto il mondo, però agli esperti era piaciuto poco e niente e lo avevano giudicato come un lungo e inutile prologo al personaggio di Venom.
Infine era necessario portare a compimento il percorso di Venom da anti-eroe a supereroe.
Venom: la furia di Carnage recensione.
Questo secondo capitolo comincia con un’ellissi temporale. Il giornalista Eddie Brock (Tom Hardy) è caduto in disgrazia, non sappiamo il motivo. La spiegazione probabilmente si trova negli albi a fumetto, tuttavia non si tratta di un buco narrativo per il prodotto audiovisivo perché possiamo facilmente immaginare che c’entri qualcosa l’inquieta convivenza con Venom.
Tutta la prima parte del film ruota intorno alla redenzione del simbionte. Venom è un cattivo con i sensi di colpa, una furiosa minaccia aliena in continua lotta con la morale umana. Praticamente è l’antieroe per eccellenza. Nel secondo film della sua saga indipendente, Venom viene però “ribrandizzato“.
Viene quindi catapultato sulla sponda dei buoni tirando fuori dallo Spider-universe la sua nemesi ancor più spietata: Carnage.
Qui cominciano i problemi di Venom: la furia di carnage, in tutti i sensi.
Da una parte c’è la componente visiva, cioè il bagno di sangue: la furia di Carnage è estrema perché ipernutrita a odio e Venom deve scontrarsi con un’entità di cui è procreatore, estremamente più pericolosa di lui. La violenza sullo schermo è alle stelle.
Dall’altra c’è invece la componente narrativa, chi è Cletus Kasady? La materia simbiontica di Venom si lega a questo efferato serial killer e diventa qualcosa di mostruoso, ma ancor più atroce è la biografia del personaggio Cletus Kasady che però nel film viene solo accennata. Qui sta il limite del film.
Nella scena post credits di Venom (2018) Eddie Brocke incontra Cletus Kasady nel carcere di Saint Quentin che gli preannuncia un massacro… there will be a carnage. E così accade.
In ogni caso le aspettative vengono disattese perché la complessa e fosca biografia del serial killer Cletus Kasady è affidata solo all’interpretazione magistrale di Woody Harrelson.
Belli, anzi bellissimi, gli inquietanti pittogrammi nella cella del maniaco omicida che ne testimoniano l’insanità mentale, ma non sono sufficienti a narrare il disagio psicologico alla base del personaggio.
Il vero difetto del film è l’aver mantenuto la promessa di portare Carnage nell’universo cinematografico del nuovo Spiderman, senza però aver realmente mostrato quel baratro emotivo che è l’esperienza umana di Cletus Kasady.
Concludendo, questo secondo Venom: la furia di Carnage sembra un film di passaggio, un prodotto di transizione verso nuovi e conturbanti mondi… lontani da casa. Il sequel infatti perde la sua vocazione sci-fi. Al progetto letale dei simbionti si allude solo con pallidi rimandi verbali. Niente laboratori o esperimenti alieni, le ambientazioni del film sono abbastanza disparate: si passa dalle tinte cupe dell’ospedale psichiatrico, ai neon della metropoli notturna, al dark di un matrimonio in stile La sposa cadavere. Tutto ciò riesce comunque a incuriosire laddove la trama fallisce e omette la storia umana che ospita la materia aliena di Carnage.
In ogni caso non c’è da meravigliarsi. In questo genere di film accade fin troppo spesso che gli effetti visivi siano più curati delle logiche narrative. Inoltre i cinecomic tendono a generare volutamente buchi narrativi, ellissi temporali e omissioni per gettare le fondamenta all’ennesimo film, un indispensabile… Venom 3.
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