Film strano e difficile, dalle più anime questo I Giganti di Bonifacio Angius, che torna dietro (e davanti) la macchina da presa per parlarci del dramma esistenziale e generazionale dei non più giovanissimi dell’Italia di oggi, persi dentro un abisso di rimpianti, vittimismo e solitudine.

Se in passato un regista come Salvatores ci aveva parlato dell’amicizia virile, della fuga e del rifiuto del modello di vita borghese, suggerendo comunque una dimensione se non altro positiva, di speranza e di riscatto per l’individuo, Angius invece si muove in totale antitesi a tale dimensione diegetica e semiotica.

I cinque protagonisti sono stati amici, ma ora non lo sono più, sono stati divisi dalle loro vite così diverse eppure così uguali, dal rassegnarsi al sopravvivere piuttosto che al vivere, da rimanere impigliati nella rete dei propri fallimenti passati, di ciò che vi era e non vi è più.
La telecamera segue con fare intimo, talvolta divertito, ma il più delle volte sadico, il continuo salire e scendere dell’umore, delle parole e dei silenzi, di questi cinque personaggi che più in cerca d’autore, sono in cerca di una ragione per non farla finita e per smetterla di drogarsi a più non posso.

Vi è quello che ha rinunciato totalmente a ricalibrare la propria esistenza, quello che la aggredisce, quello che aggredisce i propri simili, chi si chiude in un triste mutismo e chi invece cerca di salvare le apparenze.

Angius non manca di coerenza, della capacità di tenere alta l’attenzione dello spettatore, di non dare soprattutto punti di riferimento, possibilità di fuga o di scampo ai suoi protagonisti, che appaiono intrappolati dentro un tunnel che essi stessi hanno creato.
Più si va avanti più appare il ritratto universale di una generazione perduta, quella distrutta da un paese che non offre riscatto o prospettive, che non dona possibilità e svolte.
Indipendentemente dal mestiere, indipendentemente dal motivo che li ha portati li, tutti e cinque sono condannati a rimanere vittime dei propri fantasmi, del proprio crogiolarsi in una sofferenza, che al di là del singolo caso particolare, diventa eredità universale, sconfina sovente nella autocompiacimento masochista.

I Giganti è un titolo sicuramente interessante, per un film complesso nel suo portarci pensare ad un incredibile universo di ambizioni perdute, ad un’epifania tragica e macabra, che in più di un’occasione strappa risate non da nulla, se non altro nel momento in cui Angius smette di prendersi sul serio, di nobilitare i propri personaggi più di quanto l’iter narrativo suggerisca o permetta.

L’insieme alla lunga risulta infatti abbastanza sfilacciato, scivola nel finale in un esercizio di stile che fa dell’incomunicabilità e dell’effetto fine a se stesso, un pilastro non troppo efficace.
Per carità, permane sicuramente l’interessante sperimentazione, il voler parlarci degli ultimi, degli sconfitti, dei rinnegati della vita senza alcun tipo di retorica, senza dare neppure illusione di una salvezza di un riscatto, sposando la narrazione di una dimensione esistenziale tremendamente realistica e per questo tremendamente dolorosa.

Forse i Giganti pecca eccessivamente della ricerca di uno stile, di un cercare di sopperire con la regia ad una parzialità che si palesa nel non mostrarci in realtà la natura e le ragioni di tutti e cinque ma solo di alcuni, di spezzettare la narrazione in modo infine abbastanza drastico.
Certo, ala fin fine lo spettatore è portato anche a guardare con scarsa gratitudine all’insieme, così tragico, così umano, così plausibile nel parlarci anche del perché della droga, nel perché di certi gesti estremi.

I Giganti è un film verità sull’Italia di chi non ce la fa, di chi vediamo scendere nell’ombra al nostro fianco, su una terra che è dei morti e di loro soltanto.

I Giganti di Bonifacio Angius: trailer ufficiale