“Il mio nome è Wolf. Risolvo problemi”.

Siamo quasi tutti d’accordo che questa frase non ha ormai bisogno di presentazione alcuna, dal momento che il personaggio di Mr. Wolf (impersonato da Harvey Keitel) è meritatamente divenuto leggendario, così come leggendario è Pulp Fiction, il film che ce lo ha regalato ben trent’anni fa. Ad ogni modo, il nostro caro Mr. Wolf, come possiamo facilmente immaginare, ha a sua volta ispirato numerose altre pellicole, alcune ben riuscite, altre, com’è naturale che sia, meno. Nel caso di Wolfs – Lupi solitari, ultima fatica del regista Jon Watts dopo una lunga incursione nell’universo di Spider Man, presentata fuori concorso all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, possiamo comunque ritenerci soddisfatti del risultato finale grazie a una serie di soluzioni vincenti che hanno reso il lungometraggio godibile dall’inizio alla fine. Ma vediamo nello specifico di cosa si tratta.

New York, di notte, orario non ben specificato. Dall’interno di un albergo di lusso si sentono delle urla di donna. Entriamo finalmente nella sua stanza. La donna (impersonata da Amy Ryan) è sconvolta davanti al cadavere di un giovane in mutande. Ella non sa cosa fare, finché non le viene in mente di chiamare un misterioso numero datole tempo addietro da una sua conoscenza, nel caso in cui avesse avuto bisogno di risolvere qualsiasi tipo di problema.

In men che non si dica la raggiunge un misterioso agente (George Clooney), che si accinge a far sparire il corpo del ragazzo e a fornirle un alibi. Improvvisamente, però, bussano alla porta. Un altro agente (Brad Pitt) arriva nella stanza con le stesse finalità, chiamato dalla proprietaria dell’albergo, che ha osservato il tutto da una telecamera nascosta.
Che fare? I due agenti, sebbene piuttosto contrariati, sono costretti a collaborare.

Come ben possiamo immaginare anche soltanto da una prima, sommaria lettura della sinossi, le vere colonne portanti di Wolfs – Lupi solitari sono proprio i nostri George Clooney e Brad Pitt, che non lavoravano insieme dai tempi di Burn after reading (Joel e Ethan Coen, 2008) e che qui hanno dato prova non soltanto di un indubbio talento, ma anche, e soprattutto, di un’ottima alchimia.

Esilaranti, fin dalle prime immagini dopo il loro ingresso sulla scena, le loro espressioni ora turbate, ora imbarazzate, ora decisamente sorprese (in fondo, i due non sono poi così diversi l’uno dall’altro!). Misurata e composta, ma decisamente pregnante la loro mimica. E questo è un elemento di cui Jon Watts ha immediatamente individuato il potenziale, valorizzando ogni battuta, ogni dialogo, ogni più sottile espressione.

Wolfs – Lupi solitari è, di fatto, un vero e proprio giro sulle montagne russe. Una corsa in macchina per le strade della città in notturna. Una sparatoria al cardiopalma contro una banda di pericolosi criminali. Un problema dopo l’altro per cui sembra sempre più difficile trovare una soluzione definitiva. Imbarazzanti “incursioni” in uno squallido albergo a ore. Carrellate che non ci lasciano il tempo di riprendere fiato tra una scena e l’altra, ma anche riusciti ralenty che vanno a contribuire a una gustosa comicità chiaramente ispirata dal glorioso cinema slapstick.

Jon Watts sa il fatto suo e nell’attingere a piene mani da quanto realizzato in passato (impossibile non pensare, oltre al già citato Pulp Fiction, anche a pellicole come Fuori Orario o Frank Costello Faccia d’Angelo, giusto per fare qualche esempio) ha dato vita a un lungometraggio pulito e gradevole. Una ventata di freschezza (e di graditissima adrenalina) in questa 81° edizione della Mostra.