Gabriele Salvatores ritorna con il suo cinema corale e intenso fatto di storie umanissime dove singoli opposti sono divisi da tutto tranne che dal tempo e dallo spazio. Comedians è un’istantanea efficace e mai retorica del concetto di comicità, di artista, di libertà personale e rimanda ad uno dei suoi film di inizio carriera, a quel Kamikazen – Ultima notte a Milano che nel 1987 gli permise di portare sul grande schermo la commedia teatrale di Trevor Griffiths.

Tutto o quasi in Comedians si svolge dentro una scuola, in cui tiene dei corsi serali il maestro Eddi Barni (Natalino Balasso), ex stella della stand up comedy, intento a dare le ultime istruzioni ai suoi sei allievi pronti a debuttere sul palco.
Ad assistere allo spettacolo vi è Bernardo Celli (Christian De Sica), grande volto popolare della comicità televisiva e acerrimo oppositore del percorso e della visione artistica di Barni. Celli prometterà successo catodico ed economico a chi tra gli attori esordienti riuscirà a sorprenderlo. La compagnia di attori quindi dovrà decidere se proseguire il percorso artistico iniziato o cedere alle sirene del denaro.

In Comedians, riduttivo definirlo commedia, si ride amaramente e ha il grande pregio di non annoiare mai, di regalare sempre sorprese e ritmo, in virtù di un’ottima direzione del cast, dialoghi mai banali ed una regia di Salvatores, che per quanto troppo connessa forse alla teatralità, è sicuramente efficace.

Ognuno dei personaggi, oltre a rappresentare un tipo diverso di comicità, è anche simbolo di una fetta di umanità nostrana: dal “localaro” cinico e arrivista, al muratore umile e speranzoso, dai piccoli borghesi falliti al proletario incattivito, fino al giovane pieno di rabbia, acredine e velleità artistiche.
Tra il variegato mondo di personaggi, emerge più che la componente politica di un viaggio dentro la miseria umana, quella antropologica, quella generazionale tutta italiana di 40enni e 30enni ancora instabili e senza certezze, costretti a sopravvivere e a non potersi permettere il lusso di coerenza e riconoscenza. Lo stridere a confronto con la dimensione di amicizia virile, di solidarietà che la filmografia di Salvatores ci ha sempre regalato, è forte, ma anche questo è un elemento che aggiunge qualità all’insieme, distante dalla dimensione buonista di un certo cinema nostrano fuori dal tempo e dalla storia.

La comicità, la sua essenza e declinazione, sono anch’esse protagoniste assolute di questo dramma della mediocrità e della disperazione.
A cosa serve ridere? Come ci si arriva? Qual è il rapporto tra pubblico ed artista? Non vi è risposta da parte di Salvatores, quanto piuttosto una declinazione di contrasti e vedute differenti, esemplificata dallo scontro tra Balasso e De Sica.
Il primo è simbolo di quella perduta tradizione di ricerca della verità, di provocazione, di usare la risata per esplorare l’animo dell’uomo e le sue contraddizioni, di illuminare l’anima del pubblico.
Il secondo è invece il condottiero della dimensione disimpegnata, cafona, commerciale, meccanica perché improntata a formule fisse, alla declinazione dell’efficacia in base a share ed immediatezza. Le loro rivendicazioni, sono la parte più interessante di Comedians.

Comedians ha anche il concetto di fuga, caro a Salvatores, ma questa volta intesa come quella pratica e quotidiana dalla povertà, da se stessi, da un’Italia che ci inghiotte, più che dalla società in senso filosofico e storico. Manca la solidarietà, il “branco” che si fa forza, ma rispetto a Turnè l’Italia è cambiata e Comedians è lo specchio dei nostri tempi dove non ci sono più aspiranti rivoluzionari e guerriglieri della vita, ma da cenciosi mendicanti di un’occasione. Di certo il messaggio del film è amaro, ma almeno non viene la nausea per la retorica buonista alla base di tante produzioni tricolore utili solo per autoassolverci senza conoscere il peccato commesso.