Con Elle, film presentato in concorso a Cannes 2016 e nelle sale italiane dal 23 marzo, Paul Verhoeven torna dietro la macchina la presa a dieci anni da BlackBook (nel mezzo ha realizzato il medio metraggio sperimentale Steekspel). Lo fa dirigendo un film, scritto da David Birke e tratto dal romanzo Oh… di Philippe Djian, che sorprende e sconvolge, dove nulla è prevedibile o scontato, che si muove in direzione anarchica e personale come sempre ha fatto il suo autore, olandese trapiantato a Hollywood e regista di cult come Basic Instinct e RoboCop.

Michèle è una donna forte e risoluta, manager dell’industria del videogioco. Ha una madre esagerata e sopra le righe, un padre in galera che non vede da trent’anni, un figlio ragazzo padre, un ex marito in bolletta, una socia cui è molto legata, un amante. Lo stupro subito in casa da un misterioso aggressore ci porterà alla scoperta di questa donna, che una volta individuato il suo assalitore intreccerà con lui un ambiguo gioco di potere.

Infischiandosene di psicologia e verosimiglianza, mischiando toni e generi, dal noir alla commedia, dal thriller all’erotico, Verhoeven costruisce un film teso e mai didascalico, attraversato da uno humor nero che contribuisce a rendere la storia ancora più disturbante. Il regista riesce a far percepire in ogni momento una violenza quotidiana, incombente sul presente e ombra del passato, nascosta nei piccoli gesti di tutti i giorni così come in eventi eclatanti e drammatici, nelle azioni, negli sguardi, nelle parole dei personaggi, nel feroce e grottesco umorismo del film.

Un orrore che sembra non scalfire affatto la protagonista, che lo affronta con il cinico distacco di chi in questa violenza ci si riconosce in pieno, l’accetta, la pratica, ne fa il centro stesso del suo lavoro e del suo rapporto con gli altri.
Isabelle Huppert è riuscita, meritatamente, a guadagnarsi un Golden Globes, un Cesar e una candidatura all’Oscar scegliendo di interpretare un ruolo che le sue colleghe americane avevano rifiutato in blocco, costringendo la produzione a spostarsi dagli Stati Uniti alla Francia. Un personaggio ambiguo, difficile da inquadrare e da capire, in bilico tra il suo essere (poco) vittima e (molto) carnefice, generatrice della violenza che subisce. Intorno a lei e al suo magnetismo gravitano tutti gli altri personaggi, in una sorta di danza macabra in cui gli uomini, vanesi, sciocchi, deboli e disturbati, non fanno proprio una bella figura. La conclusione è tutta al femminile, ma certo non serena. Come potrebbe esserlo in questo mondo cinico e tremendo, regolato da una formale tranquillità che nasconde una violenza strisciante e inestirpabile come una pianta infestante?