Qualcuno già grida allo scandalo per Benedetta, il nuovo film di Paul Verhoeven sulla vita di suor Benedetta Carlini, per alcuni una santa per altri una blasfema bugiarda.
Benedetta, di Paul Verhoeven, non è certo la prima pellicola a mostrare al pubblico la proibita sessualità ecclesiastica, eppure l’argomento sembra sempre far storcere il naso agli spettatori più abbottonati. In questo caso però, due cose sono certe: la prima è che il regista olandese, padre del celebre Basic Instinct e il più recente Elle, ha sempre fatto dell’esplicita sessualità e sensualità una sua cifra stilistica, la seconda è che quella raccontata è una storia vera, anche se ovviamente romanzata, perciò scandalizzarsi vale fino ad un certo punto.
Il film è infatti basato sul libro Atti impuri-Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento di Judith C. Brown che, basandosi su inediti documenti d’archivio, ha ricostruito la storia di Benedetta, la badessa visionaria, quella delle estasi a metà tra l’erotico e il religioso, quella creduta e quella discussa, quella amata ma anche giudicata per la sua sessualità e omosessualità.

Il film racconta tutto dal principio, dall’infanzia di Benedetta, Virginie Efira, già in un privilegiato contatto con Gesù, all’entrata nel convento delle Teatine a Pescia (in Toscana).
I ricchi pagano profumatamente e le figlie entrano in convento, così si fa e così accade per lei, grazie al ricco padre costretto a sborsare danari per chiudere la prodigiosa figlia tra quelle mura. Benedetta, quindi, resta sola in mezzo a tante altre donne che non sembrano credere poi tanto in quella vita, o almeno non quanto lei che l’unica bambola che stringe tra le mani, a nove anni, è una madonna di legno.
In quel convento cresce e, così come lei, cresce il suo contatto col divino che le appare come fosse vivo, che le parla, la bacia e combatte con la spada per il suo onore.
Il grottesco entra in campo, volutamente, ogni volta che la suora viene a contatto con Gesù, da principio mentre dorme e poi in plateali sceneggiate con tanto di stimmate sanguinanti e piaghe. Come per ogni cosa, c’è chi le crede e chi la reputa un’abile manipolatrice, una bugiarda che nasconde sotto il velo una sessualità proibita, non solo dal contesto del convento ma anche dal periodo in cui vive: è il Seicento ed è impossibile anche solo pensare che le donne provino certe pulsioni.

Sì perché a fare da scandalo non è tanto il sangue che le cola dalla fronte, come per la corona di spine, ma il suo amore per Bartolomea, Daphne Patakia, una giovane ragazza entrata in convento per sfuggire alle violenze del padre. E’ la storia d’amore con un’altra donna a rendere la sua figura controversa e disprezzabile, tanto da mettere in dubbio qualunque cosa, a partire dal suo essere illuminata, come se una cosa escludesse l’altra. C’è da dire che, tra le due donne, la passione è da subito impossibile da trattenere, tanto da scoppiare sullo schermo in un mix tra erotismo, religione, visioni e bugie.
Nel film la sessualità è esplicita, e a chi, tra il pubblico, condanna proprio questo Efira risponde:
La sessualità è un argomento interessante. Non sono molti i registi che sanno come filmarla, Paul Verhoeven ha affrontato lo scoglio in modo sorprendente.
Ad ogni modo, per tutta la durata del film viene da chiedersi: Benedetta è davvero in contatto con il divino? ecco, a questa domanda la pellicola non da risposta; l’abile mano di Verhoeven sovrappone, perfettamente, verità e menzogna e aspetta solo che la peste ripulisca i peccati di tutti, di chi ha dubitato e di chi ha denunciato quell’amore.
Si può credere che sia una santa, o che quelle ferite se le sia procurate da sola, il regista non da un giudizio. Il popolo acclama Benedetta, ma tra le mura del convento c’è chi non baratta la razionalità con la fede e i miracoli: prima tra tutte la vecchia badessa, quella che ha dovuto cedere il posto a questa nuova suora illuminata, interpretata egregiamente da Charlotte Rampling, che è l’occhio giudicante di tutta la pellicola; insieme a lei c’è Lambert Wilson, nei panni del dissoluto e scettico nunzio che porta avanti l’inchiesta contro Benedetta, in sostanza per appurare se sia una santa o una lesbica fornicatrice. Delle due una, ancora.
Il regista, tra le sconfinate campagne toscane riesce a rappresentare un contesto piccolissimo, quello del convento, che si fa enorme portatore di principi e pregiudizi. La sessualità, la fede incondizionata, la peste, il cielo che si tinge di rosso, le grottesche apparizioni che mostrano Gesù quasi come un umanissimo supereroe, tutto questo concorre a fare di Benedetta un’opera controversa, accattivante e sicuramente seducente.

E se la critica acclama la pellicola del regista olandese, vuoi per il suo modo di raccontare le donne, esplicito e delicato, per la sua capacità di infarcire la narrazione di un grottesco mai disturbante e per raccontare un amore proibito con semplicità, gli oppositori ci sono eccome, neanche fossimo ancora nel XVII secolo. Le polemiche, infatti, vengono principalmente da gruppi cattolici, soprattutto statunitensi, che ritengono il film blasfemo ed offensivo. E Verhoeven questo lo sa bene:
C’è stato uno spostamento generale verso il puritanesimo. Penso che ci sia un malinteso sulla sessualità negli Stati Uniti. La sessualità è l’elemento più essenziale della natura, sono sempre stupito che le persone siano scioccate dal sesso nei film
Presentata in anteprima alla 74^ edizione del Festival di Cannes 2021, la pellicola arriverà in Italia il 2 marzo.