Inferno è il terzo capitolo della saga cinematografica dedicata ai romanzi di Dan Brown con protagonista Robert Langdon, che ha caratterizzato il cinema e la letteratura di azione o thriller degli anni duemila.
In questo capitolo ritroviamo Ron Howard dietro la macchina da presa a dirigere il confermatissimo Tom Hanks, versione in carne e ossa del professore ideato da Brown. Il background culturale nel quale si muove Langdon è questa volta quello de La Divina Commedia, accanto al professore e semiologo c’è la dottoressa Sienna (Felicity Jones) e un nutrito cast di comprimari tra cui il nerboruto Omar Sy nei panni dell’agente SRS Bouchard e la navigata attrice danese Sisde Babett Knudsen in quelli di Elizabeth Sinskey.
Come nel romanzo, Langdon si sveglia in un letto d’ospedale a Firenze senza ricordare nulla di come possa esserci capitato, né gli avvenimenti dei giorni precedenti; il professore è peraltro già braccato dalla serial killer Vayentha, a cui sfugge grazie al provvidenziale intervento di Sienna.
La situazione appare da subito intricata: il folle scienziato Bertrand Zobrist ha infatti approntato un particolare virus che attacca gli umani, a suo dire per contrastare la sovrappopolazione sulla Terra, e sta come sempre a Langdon evitare che tale virus si diffonda. Robert/Hanks dovrà vedersela, oltre che con gli alleati di Zobrist, anche col suo stesso governo, con Christophe Bouchard a capeggiare la squadra SRS che dà la caccia sia a lui che a Sienna, quest’ultima ovviamente nasconde il suo vero essere.
Il ritmo è la principale caratteristica e carta vincente di Inferno: la prima parte della pellicola scorre velocissima e senza dare un istante di respiro allo spettatore che segue e partecipa alle peregrinazioni di Langdon e Sienna.
Tom Hanks si trova ad interpretare un Robert per certi versi differente rispetto al brillante e determinato professore/detective di Angeli e Demoni, infatti è più fragile a causa della perdita di memoria e dei flash che attraversano la sua mente, ora onirici (il kubrickiano lago di sangue che infesta Firenze) ora reali, è in affanno, arranca, appare perfino sofferente nella sua fuga dagli avversari per le vie e i monumenti fiorentini e non ha neanche più l’orologio di Topolino, tratto distintivo del personaggio come il cappello di Indiana Jones.
Le citazioni e i riferimenti a Dante, come quelli a Leonardo Da Vinci del capostipite cinematografico (e secondo episodio della versione letteraria, rappresentano lo sfarzoso palcoscenico in cui si muovono i personaggi, senza che tuttavia il Sommo poeta rubi più di tanto la scena al due volte premio Oscar e ai suoi colleghi.
Il film di Ron Howard è azione, adrenalina, inseguimenti e qualche riferimento artistico-letterario; tutta roba ottima, ma sostanzialmente già vista nei precedenti episodi, di cui Inferno ricalca fedelmente anche il canovaccio: la corsa contro il tempo, il serial killer cane sciolto (in fondo Vayentha può essere vista come una versione femminile e in divisa da Carabiniere del Silas del primo film) gli improvvisi voltafaccia e l’adrenalinico finale.
La conversione al male di Sienna, più approfondita nel libro, è sbrigata in un flashback di una decina abbondante di minuti, che rappresenta una parentesi nemmeno troppo utile nel forsennato ritmo del film; non è peraltro l’unica libertà che lo sceneggiatore David Koepp si prende nei confronti del romanzo (per dirne una, non si menziona che Zobrist e quindi Sienna seguano il movimento del Transumanesimo)
Per comprimere Inferno in un film, comunque di quasi due ore, è evidente che Howard e Koepp abbiano ritenuto di dover sacrificarne qualche aspetto; quindi si è optato per potenziare la componente action/thrilling.
Un terzo capitolo sempre effervescente e sgargiante, quindi, ma che inizia a sapere di minestra riscaldata, malgrado il mestiere di Tom Hanks e di Howard. Non si è voluto rischiare troppo, con Inferno (neanche dal punto di vista dell’uscita del film nelle sale, posticipata di quasi un anno per evitare la concorrenza dell’ultimo capitolo di Star Wars) e così abbiamo confezionato il più classico dei thriller d’azione all’americana, di indubbio impatto, ma il cui effetto sfumerà piuttosto presto. Per i fans di Robert Langdon, che sono tantissimi (il personaggio è a tutti gli effetti nel gotha delle saghe cinematografiche) andrà più che bene, ma davvero non c’è nulla in più, e forse qualcosa in meno, degli altri due capitoli.