Giovanni Meola dirige Peppe De Vincentis e Vincenzo Imperatore per documentare La conversione, la loro.
Una storia personale che, direttamente dalle voci dei protagonisti, ripercorre due vite al limite della legalità, dalla perdizione alla redenzione.
La conversione funziona, e lo sappiamo, non solo perché il documentario di Meola ha vinto il RIFF-Rome Independent Film Festival 2020, ma per l’autentico quanto semplice modo di raccontare le due storie parallele.

Vincenzo e Peppe sono due personalità ben distinte, uno ex manager bancario, ora consulente contro gli abusi delle banche, perché troppi ne ha visti e fatti, e l’altro era uno che le banche le rapinava senza troppi giri di parole, senza nascondersi dietro una scrivania, ma facendo dei buchi nel pavimento.
I due, anche se partendo da due mondi apparentemente distanti, si affacciano al denaro illecito, alle truffe, ai reati e alle rapine. Ma c’è un’altra cosa che i due uomini hanno in comune: la voglia di fermarsi, di dire basta e ricominciare, ed è proprio questo che Giovanni Meola cattura con la sua macchina da presa, appunto La conversione, di due uomini che vogliono riscrivere le proprie vite senza nascondere il passato.
Sottrarre e ingannare sono state a lungo le attività principali delle vite di Peppe e Vincenzo. Entrambi, a un certo punto, hanno detto basta.
In un racconto informale, Peppe e Vincenzo si ritrovano a cena insieme e, davanti ad un piatto di pasta, iniziano a raccontare le loro vite, in una cascata di ricordi, segreti e pentimenti che, seppur venendo da due bocche che mangiavano soldi in modi differenti, non sembrano poi così diverse.
Il tema ricorrente è quello della famosa ascensore sociale, della scalata al successo con ogni mezzo per poter arrivare in cima a quella montagna di soldi che, solo dopo averla scalata, si scopre non valere poi tutto quello sporco sforzo.
C’è il banchiere ruffiano, truffatore, immerso fino al collo nelle dinamiche di potere, di quel potere che sapeva esercitare a suo vantaggio, ricattando i clienti, come dice lui stesso, con un linguaggio del corpo da associazione malavitosa. Vincenzo, prima gola profonda del sistema finanziario italiano, che mette un punto a quella vita ed inizia a scriversi tutto quello che sa, e non per mera vendetta ma per un reale bisogno di raccontare tutto il marcio che aveva visto e fatto negli anni, coperto dal grande paravento che è la banca, il Credito Italiano. E Vincenzo Imperatori alza il suo polveroso tappeto nel 2014, con il memoriale-rivelazione Io so e ho le prove, con decine di migliaia di copie vendute, mostrando al mondo 23 anni di lavoro nella banca più importante d’Italia. Imperatori con il suo titolo strizza l’occhio alla celebre frase di Pier Paolo Pasolini “Io so ma non ho le prove“, quella con cui iniziava il suo articolo sul Corriere della Sera, a sottolineare che qui, invece, le prove le abbiamo tutte.

E lo stesso accade per Peppe De Vincentis, un anno prima, nel 2013, con la sua autobiografia Il campo del male, dove racconta l’adolescenza, il battesimo criminale, la detenzione in numerose carceri, da Poggioreale a Rebibbia fino a Secondigliano, per un totale di trent’anni di galera, il tutto incorniciato da una feroce sete di cocaina ed eroina. Da scassinatore di negozi e gioiellerie, fino alle Poste e alle banche, agendo dal basso per arrivare in cima, per poi finire dentro, molto spesso, chiuso nella sua cella lunga solo tre passi. Uno spazio piccolissimo dove Peppe riesce a sopravvivere lasciando fuori dalle sbarre la sua vita vera per costruirsene un’altra lì dentro, nel carcere, con le sue dinamiche dure e difficili. Sono due vite diverse quelle dei protagonisti de La Conversione ma, in fondo, per riprendere le parole dello stesso regista:
Sono due facce di una Napoli matrigna e da sempre piena di insidie
Il risveglio, la scrittura, il teatro, il raccontare apertamente e candidamente un vissuto ormai lasciato alle spalle, dà ai due uomini la possibilità ed il coraggio di guardare dritto in camera, e quindi negli occhi del pubblico, per dire sì, ho sbagliato ma posso scegliere di non farlo ancora. E da qui si apre un mondo, un mondo che bene o male tutti pensiamo di conoscere ma mai fino in fondo, o almeno mai come chi quel mondo l’ha vissuto, creato, calpestato e infine denunciato.
La Conversione è una storia intima ma di pubblico dominio, un documentario che riassume un processo lungo e non privo di ostacoli, di due uomini che hanno deciso di aprire una porta sulla propria vita, ammettendo errori e colpe, per mettersi a nudo davanti al mondo.
Con una narrazione che spazia dal biopic, alla messinscena teatrale, fino a prendere le sembianze di una vera e propria inchiesta, Giovanni Meola cattura tutto quello che può, diventando quasi invisibile dietro la telecamera e lasciando ai due protagonisti la possibilità di riempire tutti gli spazi disponibili, accompagnati dalle musiche originali di Daniela Esposito con fisarmonica e voce, che restituiscono perfettamente quel contesto napoletano che regista e attori vogliono farci ascoltare.