Anna Pollio e Lucio Basadonne, coppia nella vita e nel lavoro, con Making of Love, si sono messi in gioco, a nudo e all’ascolto di una generazione che ha tanto da dire, se solo si iniziasse ad ascoltarla.

Dopo aver visto, apprezzato, recensito e parlato della docu-serie Making of Love, non restava che scambiare quattro chiacchiere con i due registi e produttori che hanno realizzato quest’innovativo progetto.

Dopo Unlearning, proiettato in 22 festival in tutto il mondo e Figli della libertà con oltre 100 proiezioni in tutta Italia, Anna e Lucio hanno intrapreso una nuova esperienza, che oggi ci raccontano senza censure e senza ipocrisia perché, per dirlo con le loro parole, non c’è più il sesso di una volta, per fortuna.

Come è nata in voi l’idea di questo progetto? È stato un processo graduale a cui pensavate già da un po’ o c’è stato un momento in particolare in cui avete realizzato che c’era bisogno di insegnare l’educazione sessuale e al piacere nelle scuole?

Per rispondere a questa domanda – dice Anna- dobbiamo fare prima un passo indietro. Prima di Making of love abbiamo girato due documentari Unlearning, uscito nel 2015 e Figli della libertà, del 2017. In questi progetti noi, sia come adulti che come genitori e documentaristi, ci siamo fatti delle domande sul modo in cui imparano i bambini e come gli adulti possono aiutarli in questo processo di crescita. Ovviamente non parliamo di crescita solo a livello di educazione, ma s’intende proprio come modalità di approccio alla vita. Abbiamo quindi dovuto, in un certo senso, disimparare la nostra formazione partendo dalle basi, quella formazione standard che ci accomuna tutti in questa società e così ricominciare ad imparare da capo.

L’idea iniziale, alla base della docu-serie Making of Love è venuta da Paolo Mottana – che già aveva collaborato con i due registi in Figli della Libertà- docente di Filosofia dell’educazione all’Università di Milano, che ha condiviso con noi una sua riflessione su quanto l’educazione sessuale fosse assente nelle scuole italiane. Per veder nascere questo progetto, io e Lucio abbiamo fatto molta ricerca all’estero, cosa che ci ha permesso di scoprire un’educazione non formale, ossia che mette al centro il bambino, rendendolo protagonista del suo apprendimento ed è proprio da qui che siamo partiti.

L’educazione sessuale nelle scuole italiane non esiste o, in quei rari casi in cui l’argomento viene trattato, l’approccio è di tipo meccanico, dettato da un certo terrore, imbarazzo o volto ad evitare gravidanze e malattie.

Per il nostro progetto ci siamo quindi proposti di partire dal corpo -dice Lucio- il grande assente dell’educazione standard che nelle scuole, in cui per lo più si è abituati ad ascoltare, viene dimenticato, se non per l’ora di educazione fisica. Se infatti la sessualità fino ad ora era equivalente ad un discorso più medico o anche sentimentale, il nostro intento, parlando ai ragazzi di educazione sessuale e al piacere, è di restituire ai giovani la piena responsabilità delle loro azioni, di metterli al centro del discorso attraverso l’ascolto e la responsabilizzazione.

Sappiamo che inizialmente il progetto non era stato concepito così come l’abbiamo visto, i ragazzi dovevano aiutarvi con la sceneggiatura ma poi la situazione si è capovolta e i ruoli si sono invertiti. Com’è stato per voi abbandonarvi ai ragazzi e lasciarli liberi di esprimersi?

Esatto, è stato proprio così. Quando abbiamo iniziato a lavorare alla docu-serie l’idea iniziale era che i ragazzi fungessero da consiglieri, in sostanza dovevano aiutarci con la scrittura della sceneggiatura. Grazie però al nostro lavoro nelle scuole democratiche, dove adulti e ragazzi collaborano e prendono decisioni insieme, abbiamo optato per un progetto collaborativo, un reale scambio di opinioni. Abbiamo quindi sottoposto la sceneggiatura ai ragazzi, premetto che si trattava di un lavoro sul quale io e Lucio eravamo stati per circa un anno, chiedendo loro la massima sincerità: volevamo sapere davvero cosa pensassero e se si rispecchiassero nel progetto. È stato lì, grazie allo scambio con i ragazzi, che abbiamo capito di dover ricominciare dal principio, non è stato facile ma è stata sicuramente la scelta giusta. Dal documentario siamo quindi passati alla fiction, una forma d’intrattenimento molto più fruibile dai ragazzi e molto più vicina al loro modo d’intrattenersi e d’informarsi.

Parlando ancora degli otto protagonisti della docu-serie, con che criterio li avete selezionati? Cosa dovevano o non dovevano avere per partecipare al vostro progetto?

In realtà -spiega Lucio- almeno inizialmente, i protagonisti della docu-serie dovevano essere quattro, per rappresentare quattro specifiche sottocategorie: doveva esserci la ragazza esperta, quella più insicura, il maschio alfa e poi un elemento che esprimesse qualcosa di diverso. Durante le giornate dei provini, arrivati all’ultimo gruppo di ragazzi, sono entrati loro otto ed è stato un attimo, tutti noi ci siamo guardati e abbiamo sentito che dovevano essere loro. Tra quei giovani si era creato un feeling incredibile, una grande affinità ed energia, anche grazie alla sincerità con cui abbiamo impostato il lavoro che ci ha permesso di stabilire un solido rapporto di fiducia con loro. Insomma, è stato lì che abbiamo deciso di prenderli tutti, passando dai quattro iniziali agli otto che avete conosciuto nella docu-serie; questa cosa ovviamente a livello di produzione è stata una follia perché i costi sono raddoppiati, ma devo dire che ne è valsa la pena.

Ci sono stati dei momenti in cui è stato difficile per i ragazzi aprirsi e “superare” i propri limiti mettendosi a nudo (sia metaforicamente che letteralmente) davanti ad una telecamera?

Ci tengo sempre molto a dire -chiarisce Anna- che la settimana dedicata ai workshop, ossia il periodo in cui i ragazzi imparavano e sperimentavano, si è svolta in una zona protetta, con un team molto chiuso e due professionisti che si occupavano di ascolto, parliamo di un sopporto emotivo, non psicologico. Il patto era, sin dall’inizio, che i ragazzi potevano decidere di partecipare o meno a qualcosa, erano liberi di restare come di andare via, non volevamo che determinate cose potessero essere viste come obblighi imposti da noi. Proprio per questo avevano a disposizione qualcuno che li ascoltasse e li aiutasse a superare i loro limiti, ad ascoltarsi e capirsi. Questo si lega all’importantissimo tema del consenso, altro spunto portato alla luce dai ragazzi: il saper dire di sì e di no, a seconda di quello che si prova, riuscendo ad ascoltare e comprendere sinceramente sé stessi.

E adesso cosa succederà?

A partire da ottobre -ci dice Lucio- porteremo nelle scuole un format composto dalla docu-serie di 40 minuti, Making of Love, la fiction fatta dai ragazzi Edonè: la sindrome di Eva, una parte interattiva fatta di domande senza censure poste da ragazze e ragazzi e un incontro con loro. Tutto questo si svolgerà all’interno dei cinema, non nelle aule, perché lo spazio cinematografico è un luogo “altro” rispetto alla scuola, un luogo di confronto, diciamo che il cinema è una sorta di zona franca.

 Che cosa vi aspettate da questo progetto?

Quello che ci aspettiamo – dice Lucio – non è una vera e propria rivoluzione, piuttosto la nostra speranza è quella di aprire un dibattito sulla sessualità e sul piacere, di poter raccontare e far capire che se i ragazzi si mettono insieme hanno molto da dire e raccontare. Quello che manca però è la fiducia e un luogo sicuro in cui potersi esprimere e confrontare.

Io penso – aggiunge Anna – che ormai i ragazzi siano pronti e vogliano dialogare apertamente su questi temi, compresi l’identità e il genere. Loro, in realtà, ne parlano già molto liberamente, la parte difficile in tutta questa operazione sono gli adulti; c’è da dire che i ragazzi non hanno molta fiducia in loro, quando si tratta di aprirsi e confrontarsi su questi argomenti. A questo proposito una ragazza, alla fine della quinta puntata della docu-serie, dice proprio di essere spaventata all’idea che tutto questo progetto dovrà passare per i presidi delle scuole, per i genitori e per gli adulti in generale. Il mondo adulto è ancora molto fermo e giudicante e quello che io mi auguro -continua Anna- è che venga a contatto con questo progetto, anche per vie traverse e che magari possa cominciarsi a incuriosire per far scalfire un po’ questa corazza che si è creata e consolidata nel tempo.

E noi di Cabiria Magazine ci auguriamo lo stesso.