Lo si suole chiamare Young Adult ed è il prodotto, della letteratura e del cinema, di moda in questi ultimi anni, ma che ha radici e una tradizione non certo recente. L’etichetta va a marcare con la sua nomea una delle caratteristiche principali di questo genere, ovvero la presenza di “giovani adulti”: i protagonisti sono i ragazzi.

Il romanzo di James Dashner e la saga di film Maze Runner si insinua proprio in questo filone, in questa moda del gusto, che come seconda grande peculiarità ha la sua contestualizzazione in un mondo malato, uno scenario distopico, che riflette culturalmente la sfiducia nell’uomo del sentire popolare.

Fare la conta dei parenti diviene quasi un gioco, da Il signore delle mosche, verso Harry Potter, fermandosi nel proliferare più recente: Hunger Games, Shadowhunters, Ender’s game, Percy Jackson. Ad accomunarli è anche la divisione in squadre, la presenza di un addestramento e una storia d’amore triangolare, elementi che, in Maze Runner – La fuga, diventano tuttavia piuttosto labili.
Maze Runner – La fuga
prova a mantenere le caratteristiche del primo film, ma non riesce a reggerne il confronto. Se in Maze Runner – Il labirinto si era riusciti a costruire un’aurea di mistero, un’interesse verso la scoperta, abbinato efficacemente ad una narrazione veloce e dinamica, qui si avverte la mancanza di questi dati, della prova e del fascino che suscitava il labirinto, mentre la corsa del film e dei personaggi, una vera e propria fuga da tutto e tutti, manca di un obiettivo finale forte, definito.

Seguiamo Thomas e compagni per inerzia, in quanto non v’è empatia con i fuggitivi, manca un coinvolgimento forte, probabilmente derivante da una caratterizzazione debole e rimandata al precedente film e da dialoghi fiacchi e riemmaze runnerpitivi, impedendo dunque, anche ai presunti colpi di scena e agli snodi principali, di suscitare l’impatto desiderato. È debole anche la love story e le sue articolazioni, purtroppo poco emozionanti.

Maze Runner – La fuga gioca spesso sul silenzio interrotto dalla comparsa improvvisa, marcata dall’aumento del sonoro, e sulla ricerca della scenografia catastrofica e d’impatto visivo. L’azione e gli intenti non sono tuttavia efficacemente giustificati. Addirittura dopo una fuga dagli zombie, gli Spaccati, proprio nel fotogramma successivo alla corsa, i protagonisti dormono beatamente.

Poco importano le discrepanze, seppure nette, dal libro: si può fare un buon film anche cambiando nettamente la sua storia cartacea, mentre si può disquisire invece sulla bontà di tale scelta. A punire Maze Runner – La fuga è proprio la comunanza di aspetti del genere Yong Adult, seppure qui declinati soprattutto sul piano distopico e sull’azione frenetica, e dunque la mancanza di originalità, l’assenza della capacità di distinguersi.

Era capitato anche ad Hunger Games: dopo un buon primo film,  ne hanno proposto un secondo identico e un terzo cupo, amorfo, insipido, noioso. Sembra dunque che il filo che unisce gli intenti sia ripetere, confermare. Dopo il successo di un primo, perchè sbattersi, ragionare, cambiare, rendere più accattivante, originale, un qualcosa che sappiamo già che avrà comunque successo?