Tre, due, uno… “il primo è più bello”. Sì lo so, quante volte abbiamo detto e sentito dire questa frase? È inevitabile tuttavia scontrarsi con il fatto che, con un sequel, molti elementi di novità e di sorpresa non possono replicarsi e devono essere ricercati altrove. La bontà di un sequel dovrebbe dunque misurarsi in altro modo.

Hotel Transylvania 2 riesce a confermarsi e affermarsi, trasformando il brand, da uno dei più bei film d’animazione (il termine di tempo aggiungetelo voi) a una delle più belle saghe d’animazione.

Drac ha finalmente accettato la relazione tra sua figlia Mavis e Johnny, i quali, dopo aver fatto zing, si sono sposati e hanno dato alla luce un bel bimbo boccoloso. Il dilemma tuttavia, che scatena la narrazione, e anche i mostri, in particolare il solito apprensivo conte Drac, è se egli sia un umano o un vampiro, e dunque Dennis o Denisovich.

Genndy Tartakovsky è ancora il regista, dalla mano riconoscibile e l’idea precisa, come nel primo film, coadiuvato da Adam Sandler e Robert Smigel (no, non Gollum!) nella scrittura della storia, che nella lotta d’intenti ha subito diverse variazioni, quali la scomparsa dell’agente immobiliare, che originariamente Hotel Transilvania 2 2doveva essere il villain di questo film.

Hotel Transylvania 2 cerca e riesce a mantenere la freschezza del primo film, con alcuni riferimenti chiave ad esso e nuove gag, con una spasmodica ricerca della risata genuina e uno stile fondato su un ritmo alto, aiutato dal continuo e frenetico movimento dei personaggi, ballerini dal fare assolutamente cartoonesco. Proprio essi sono uno dei punti di maggior pregio del film, in particolare la loro caratterizzazione, che, nonostante la loro presenza nel folklore da decenni, li differenzia fortemente l’uno dall’altro e li rende originali, in un mix tra i loro tratti distintivi, caratteristiche umane, gli anni che passano per tutti e le trovate geniali del team di lavoro.

Ai soliti conosciuti, si uniscono qui delle new entry, come Dennis, nonno Vlad (doppiato in modo non entusiasmante, a mio avviso, da Paolo Villaggio), la famiglia di Johnny e Blobby, che, seppure era già presente nella prima pellicola, qui ha un ruolo più in vista (ma sempre silenzioso).

Il tema della famiglia, dell’educazione e la discriminazione, qui tra mostri e umani, vengono toccate sì, ma solo sfiorate, senza mai appesantire il film, fermandosi troppo a rimarcarle e ripeterci la favoletta morale, ma restando fedeli alla parola d’ordine di questa saga: ridere, ridere, ridere! Missione per la quale Genndy Tartakovsky sfrutta ogni singola inquadratura e ne fa il set di una possibile gag.

Peccato solo per il trailer che un poco rovina e smorza la sorpresa di una scena molto divertente. Il terzo film intanto è già in cantiere, ma senza Tartakovsky, che ha ritenuto opportuno non insistere ulteriormente.