L’uomo è un animale sociale, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Ogni azione e pensiero ricade nell’eterna pulsione di connettersi con l’altro, che sia la dolce metà, la famiglia o un amico. La vita poi spesso ci si mette di traverso, ma il nostro desiderio d’amore e d’empatia è così irrefrenabile che nemmeno i proiettili o il sangue può spegnerlo. Siete leggermente confusi? È il caso che vi schiariate le idee guardando La Svolta, il nuovo film diretto da Riccardo Antonaroli, scritto da Roberto Cimpanelli e Gabriele Scarfone.
Il film, che uscirà dal 20 aprile su Netflix, è una parentesi agrodolce d’umanità, carico delle velleità, così come delle insicurezze, che ci contraddistinguono in quanto esseri fragili ma sognatori.

Siamo a Roma, nel quartiere Garbatella, una culla di tranquilla ordinarietà. Ludovico (Brando Pacitto) è un ragazzo introverso, sfiduciato, alla ricerca di un posto del mondo. Vorrebbe fare il fumettista, ma gli studi accademici impostigli dal padre lo allontanano sempre più dalla sua aspirazione. Un giorno il ragazzo vede la sua realtà capovoltasi dopo l’infelice conoscenza di Jack (Andrea Lattanzi), un rapinatore in fuga alla ricerca di un riparo.
Preso in ostaggio, Ludovico si vede costretto ad ospitare Jack in casa fino a che la minaccia non sarà sfumata, così poi da permettere al malvivente la fuga.
Giorno dopo giorno, i due iniziano a conoscersi sempre meglio, entrando l’uno nella vita dell’altro, stringendo quella che sin dall’inizio sarebbe sembrata un’amicizia contro ogni pronostico.
Si parla tanto di destino in questa pellicola, sotto vari aspetti. Seguendo la definizione più generica, il destino è l’insieme delle cause che si pensa abbiano determinato (e determineranno) gli eventi della vita. È un concetto neutro, che si colora in base agli eventi che riempiono l’esistenza di ciascuno di noi.
Jack e Ludovico sono tele bianche, sulle quali il destino ha scelto di dipingere con svariati colori, senza permetterci di comprendere al meglio le tonalità utilizzate, almeno non prima della fine del film. Il loro percorso s’incrocia, e catalizza su di sé i destini di altrettanti individui, con i rispettivi eventi, i rispettivi colori.

È un’amicizia, la loro, che potrebbe erroneamente richiamare alla mente la sindrome di Stoccolma. In realtà, Jack posa molto in fretta la maschera da sequestratore, mentre Ludovico sente l’aura autoritaria del criminale dissolversi pian piano. Nel momento più intimo della conoscenza, l’amicizia nasce tra due semplici ragazzi, non tra guardia e prigioniero.
È quando si mettono del tutto a nudo che la magia accade, che le debolezze di Jack vengono a galla, che la grinta di Ludovico vede degli spiragli per risplendere, cambiando l’ordine delle cose. Da sottolineare l’assoluto pregio delle interpretazioni dei due protagonisti, capaci d’infondere credibilità e peso emotivo alle figure chiave del racconto.
Trattasi di una pellicola frutto di qualcuno che il cinema lo ama con tutto sé stesso. Antonaroli dissemina lungo tutta la durata della storia citazionismo, omaggi e rimandi ad un cinema di genere italiano che ha forgiato quest’arte in modo indelebile.
Con La Svolta ci s’imbarca in un “road movie da fermo”, dove gli eventi si susseguono come cambi di paesaggio, in un accelerato percorso di formazione che i due giovani protagonisti saranno costretti loro malgrado a vivere.
Nonostante la solitudine giocasse un grande ruolo nelle vite di Ludovico e Jack, il richiamo all’empatia e all’amore li sveglia dal sonno che da troppo tempo li teneva prigionieri, accompagnandoli verso il loro tanto atteso destino.