Non pensereste mai che c’è un sottile filo che collega Kandinskij a Wes Craven, che lega insieme Composizione VIII a Freddy Krueger. Per spiegarmi meglio, è d’obbligo fare un “piccolo” passo indietro.

Il giorno è l’8 luglio del 1908. In una Parigi convulsa e piena d’idee, è in corso una conferenza scientifica tra menti eccelse. Auguste e Louis Lumière (considerati ad oggi i padri del cinema) presenziano in sala, mentre seguono assorti l’evento. Tocca ad Edward Turner, giovane e bizzarro inventore britannico, esporre ciò che ben nove anni prima ha scoperto nella sua officina di Londra. Si tratta di un sistema di registrazione e proiezione di filmati in tre colori, il primo in assoluto del suo genere. Di fronte agli occhi dei Fratelli Lumière, stupiti come quelli di tutto il mondo, si assiste alla nascita del cinema a colori.

Quasi 110 anni dopo, in una realtà diversa, plasmata dalle rivoluzioni in campo scientifico e tecnologico, i colori fanno oramai parte non solo del cinema, ma di tutta la nostra vita. Dalle app scintillanti ai cartelloni pubblicitari, negli anni l’attenzione mossasi verso le scale cromatiche, i toni e le gradazioni ha fatto sì che si potesse cogliere non solo la loro bellezza, ma anche le potenzialità in loro nascoste. Ha avuto inizio una fase di apprendimento e sperimentazione in campo visivo, nella quale siamo tuttora immersi, che cerca di far leva sui desideri, le emozioni e gli istinti che i colori suscitano in noi. Ci si chiede come si può rendere un prodotto più splendido, un social network più ammaliante, un panino più appetitoso.

Ciò nonostante, non tutto il male vien per nuocere, e l’interesse verso la tematica in questione non riguarda solo ricchi magnati decisi ad accrescere ancor di più il loro capitale a nostro discapito. Nella storia sono molteplici gli studiosi, filosofi, artisti e scienziati che si sono avvicinati allo studio del colore per carpirne l’essenza, la sua correlazione con l’animo umano, e le dinamiche con cui si rapporta col nostro strato subconscio più abissale.
Il pittore russo Vasilij Kandinskij nelle sue teorie sull’uso dei colorì stabilì un nesso stretto tra l’opera d’arte e la dimensione spirituale, affermando che l’anima e l’arte s’influenzano a vicenda.
Nel suo “Lo spirituale nell’arte” (1909) egli afferma che:

In generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente un’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima.

Il mondo cromatico affascinò anche il filosofo svizzero Max Lüscher, inventore dell’omonimo “Test dei colori”, grazie al quale è possibile analizzare lo stato d’animo di un soggetto in base alle sue preferenze di colori. Secondo Lüscher difatti ogni colore ha un significato obiettivo e condiviso, vale a dire che la percezione cromatica diventa così un linguaggio universale.

I colori agiscono in primis sull’emozioni dell’animo umano, le quali però non rispondono sempre a bisogni razionali. Il cinema horror, in particolare il sottogenere slasher, ne è un esempio lampante. Con “slasher” definiamo quel gruppo di film dell’orrore in cui il cattivo della storia è identificabile come un maniaco omicida (alle volte mascherato), intento a dare la caccia ad uno o più protagonisti in uno spazio delimitato, con l’utilizzo di armi da taglio o simili. A rigor di logica, nulla di tutto ciò dovrebbe attrarci, ma una serie di fattori psicofisici (il rilascio di agenti chimici come l’adrenalina e la dopamina, vedere scenari terrificanti mentre si è al sicuro, l’esplorazione delle parti più oscure di sé) rendono irresistibili questi prodotti filmici. Per migliorare ancor di più l’esperienza visiva, registi e cineasti hanno compreso il ruolo chiave che i colori giocano nella partita delle emozioni, sfruttandone i punti di forza a loro vantaggio.

Blu e Viola – Halloween, di John Carpenter

Potremmo definirlo senza troppe esitazioni il primo vero slasher movie, o perlomeno la prima pellicola che s’identifica a pieno in questo genere. La realizzazione di Halloween, diretto dal maestro John Carpenter, ha dovuto fare i conti con un budget assai limitato. Ciò però non ha interferito con la buona riuscita del progetto, consegnandolo all’olimpo dei migliori film horror di sempre. Punto di forza della pellicola è stata la sua clamorosa colonna sonora, composta tra l’altro dallo stesso Carpenter, il quale paradossalmente ammise in qualche intervista di “non saper né leggere né scrivere una nota”.

Se andiamo ad analizzare la fotografia del film noteremo un uso cosciente e predominante di due colori molto affini, ovvero il blu ed il viola. Nel primo caso parliamo di un colore freddo, glaciale, che richiama alla mente l’isolamento, la passività e l’impotenza, mentre il viola è forte sinonimo di minaccia; tutti fattori che ritroviamo nello stato d’animo di una giovanissima Jamie Lee Curtis nei panni di un’impaurita Laurie, alla mercè della rabbia omicida di Michael Myers.

Verde – Venerdì 13, di Sean S. Cunningham

Altra colonna portante del genere è indubbiamente Venerdì 13, film del 1980 diretto da Sean S. Cunningham. Primo capitolo dell’omonima saga, racconta delle folli gesta di Jason Woorhees, un assassino con una maschera da hokey che semina il terrore mietendo vittime in un gruppo di ragazzi in gita sul lago di Camp Crystal.
Il film si basa su eventi verosimili, come la maggioranza di film del genere, anche se più avanti nella saga prenderanno più spazio elementi fantastici e fantascientifici.

Qui a catturare lo schermo è il colore verde. La fitta vegetazione, la muffa sulla maschera di Jason e la luce del film richiamano svariate tonalità di verde, che invece alimenta la sensazione di minaccia, così come anche quella di pericolo e di oscurità, la stessa che rivediamo negli occhi esanime del protagonista.  

Rosso – Nightmare, di Wes Craven

Come prevedibile, per antonomasia il colore dell’horror è il rosso. È quello più impiegato graficamente e, rimanendo sugli slasher, ampio utilizzo ne viene fatto in Nightmare, di Wes Craven. Nel cult del 1984 si narra di cinque amici adolescenti, le cui notti vengono tormentate da un uomo dalle sembianze sfigurate, con una voce spaventosa ed un guanto da giardiniere con dei coltelli al posto delle dita. Ciò che accade nei loro sogni diventa realtà, così la figura malefica che si cela sotto il nome di Freddy Krueger inizia la sua orrenda vendetta, così da far pagare loro un debito sepolto nel loro passato.

Il rosso, oltre che a richiamare il colore del sangue, è un importante rimando all’idea di potere, così come di violenza, pericolo e rabbia. Esempi nostrani dell’utilizzo magistrale del rosso possono essere capolavori come Profondo rosso, Suspiria o L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento, o ancora Reazione a catena di Mario Bava.

Giallo – Scream, di Wes Craven

Ritroviamo ancora una volta Wes Craven, qui con l’ennesimo cult di genere, vale a dire Scream, datato 1996. Si racconta di un serial killer con il volto mascherato (il celebre “ghostface”) che uccide brutalmente i ragazzi della città di Woodsboro. La giovane Sidney, interpretata da Neve Campbell, sente di essere in qualche modo collegata al brutale maniaco che semina terrore per la città.

Qui abbiamo un utilizzo marcato del giallo, il quale è un altro colore molto gettonato tra le pellicole del terrore. Al giallo vengono attribuiti vari significati: richiama in qualche modo all’ossessione, l’insicurezza e ultimo ma non meno importante, la pazzia.
È un colore che rafforza la follia dal punto di vista estetico, capace di catturarne al meglio le sfumature sul grande schermo, contribuendo così a costruire un clima di terrore e panico. Altri slasher che sfruttano allo stesso modo il giallo sono Non aprite quella porta di Tobe Hooper, o Le colline hanno gli occhi, anch’esso di Wes Craven.