Diversi registi si sono cimentati in pellicole dedicate alla biografia di Amedeo Modigliani, l’ultima è quella di Mick Davis intitolata I colori dell’anima e uscita nelle sale il 13 Maggio 2005.
Il film è soprattutto una storia d’amore e ripercorre la vita dell’artista Livornese, tra ricordi e flashback, tracciando una vicenda al limite tra legenda e verità, avvolta in cliché e luoghi comuni, enfatizzando, quelle che furono, le caratteristiche di un pittore divenuto, ormai, uno dei più celebri e importanti del novecento.
Il lungometraggio è, nell’insieme, una narrazione romanzata, colorita ed esagerata, ambientata nella Parigi della Belle Époque tra i caffè, le gallerie e gli atelier dei vicoli lastricati di Montmartre. Ripercorre gli ultimi anni di vita di Modigliani, dall’incontro con Jeanne Hebuterne, il suo grande amore, fino all’allestimento della prima mostra personale nella Galleria Berthe Weill; non rispetta nè date né avvenimenti, ma piuttosto si concentra, come fossero uniche peculiarità, sulla vita dissoluta di un pittore (che però fu anche scultore) e sulla storia d’amore con la donna che per lui si tolse la vita quasi al nono mese della seconda gravidanza, dopo la sua scomparsa prematura causata, non solo da eccessi, ma anche da una salute cagionevole.
La pellicola è romantica e sensibile, racconta, prima di tutto, un amore tormentato ma il regista mette in atto una rilettura della vita di Modì troppo impietosa poiché lo etichettata e lo inglobata in schemi di una vita di artista solamente dedito all’alcol, alle droghe e alla dissolutezza; aspetti realmente presenti, ma assolutamente troppo gonfiati.
La vita di Amedeo Modigliani fu carica di eventi, incontri e percorsi artistici che lo portarono ad essere il pittore dai ritratti di donna con colli lunghi e lo scultore dal tono primitivo: opere dallo stile unico. Il film non menziona minimamente queste peculiarità, non traccia affatto una linea lungo la sua evoluzione pittorica o quanto meno il suo stile, non predilige l’atto creativo e l’amore per l’arte che egli aveva ma crea un Modigliani completamente esagerato: un Italiano trasferitosi, molto giovane, nella Parigi arte-centrica che fischietta l’inno di Mameli passeggiando per le strade di Montmatre (tra l’altro allora solo una canzone patriottica), dettaglio registico che rende perfettamente l’architettura del film avvolta in cliché davvero troppo scontati. Vengono inoltre ricordati alcuni amici artisti del pittore, come ad esempio Utrillo, Soutine, Kisling e Foujita, ma ci furono anche Rivera, Brâncuşi, Chagall etc. i quali, a discapito della narrazione, non pensavano solo a bere assenzio e a fumare oppio; il rapporto tra questi avrebbe dovuto evidenziare il clima dell’epoca, infatti è Impossibile non considerare la febbricitante vita culturale della Parigi a cavallo tra fine ottocento e inizi novecento e delle personalità artistiche presenti.
Nella proiezione fa, inoltre, da protagonista l’assurda e a tratti patetica rivalità tra Modì e Picasso, storicamente mai provata con certezza e sicuramente molto lontana dal racconto di Davis; nel film si vede un Picasso grassoccio e sudaticcio, un po’ diverso dal ricordo comune del padre del cubismo, quasi ignorante nei comportamenti e perennemente dedito a inscenare liti e screzi con Modigliani, ovviamente partecipe alla rivalità, ma con toni più scanzonati. Questo aspetto è probabilmente il più drammatico di tutta la pellicola, sia sotto l’aspetto storico e quindi poco credibile, che sotto l’aspetto stilistico in quanto è pessimamente inscenato; senza considerare che allora Picasso non era affatto il pittore di grande fama e gloria inscenato, questo accadrà solo qualche anno dopo.
Infine, i flash back e i ricordi, sia del protagonista che di Jeanne, creano talvolta confusione e disorientamento allo spettatore che si trova spesso a dover ricercare il filo logico della storia ed incastrare gli avvenimenti che incalzano. Andy Garcia, è perfetto nel ruolo da protagonista ed è quasi l’unico aspetto piacevole del film assieme ad Elsa Zylberstein che interpreta Jeanne Hébuterne, anch’essa piacevole nel ruolo, forse anche per la somiglianza con i dipinti e con la Jeanne originale.
Per riappropriarsi della consapevolezza di un Modì non solo dissoluto ma grande pittore e scultore è possibile, proprio in questo periodo, visitare a Roma nella sede di Palazzo Cipolla (lungo via del corso) le sue opere assieme agli artisti a lui vicini che vissero e dipinsero a Montparnasse agli inizi del Novecento durante i cosiddetti “anni folli”. Nella mostra “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter” si possono quindi ammirare per la prima volta i capolavori appartenenti alla ricca collezione di Jonas Netter, acuto riconoscitore di talenti.
Valentina Terribile
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