Si è fatta notare fin da subito, la giovane regista iraniana di origini, ma statunitense di adozione Ana Lily Amirpour e si riconferma con Mona Lisa and the blood moon in concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Lo sguardo coraggioso della Amirpour, estremamente libero e innovativo – insieme alla sua sfrenata passione per la musica – sono letteralmente “esplosi” sul grande schermo fin dal suo primo lungometraggio, A Girl walks Home alone at Night (2014). Ma se questa singolare storia di una vampira che si aggira di notte per le strade della città a “fare giustizia” ha immediatamente conquistato sia pubblico che critica, ben altra accoglienza (e resa finale) ha ottenuto il lungometraggio The Bad Batch, in concorso nel 2016 a Venezia, dove, tuttavia, è stato insignito del Premio Speciale della Giuria. E, a quanto pare, la regista si sente particolarmente a suo agio in quel del Lido.

Ben cinque anni dopo, infatti, eccola tornare in concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con Mona Lisa and the Blood Moon, il suo terzo lungometraggio. Anche in questa occasione, dunque, la sua cifra stilistica è particolarmente riconoscibile. Anche in questa occasione la giovane cineasta non ha avuto paura di osare, di percorrere una strada tutta sua, di conferire a una storia apparentemente semplice un carattere del tutto personale.

Mona Lisa Lee (impersonata da Jeon Jong-seo) ha ventidue anni e da dieci è rinchiusa in un manicomio criminale. La ragazza è dotata di particolari poteri che le permettono di far compiere alla gente determinati gesti tramite ipnosi. Fuggita dal manicomio, la giovane incontrerà una spregiudicata ma generosa spogliarellista (Kate Hudson), che, dopo aver intuito i potenziali guadagni che i suoi poteri possono farle ricavare, si offrirà di ospitarla a casa sua. Con lei vive anche suo figlio Charlie di undici anni, che dopo un’iniziale diffidenza, scoprirà di avere con Mona Lisa molte cose in comune.

Mona Lisa and the Blood Moon è, dunque, una favola rock-metal dai chiari rimandi alla cultura anni Ottanta e Novanta. Una storia semplice, che rivela al contempo numerose similitudini con i precedenti lungometraggi della regista. Anche in questo caso, infatti, la componente autobiografica è forte. Anche in questo caso la protagonista è considerata da tutti una outsider, qualcuno da tenere alla larga, di cui avere paura. Eppure, si sa, nel momento in cui troviamo qualcuno simile a noi, ci sentiamo immediatamente meno soli.

Impossibile considerare un film di Ana Lily Amirpour senza prendere in considerazione la musica stessa. E in questo caso incalzanti brani Heavy Metal e Techno ci accompagnano durante tutta la visione, perfettamente in linea con l’intera messa in scena, dove a fare da protagonisti assoluti sono colori psichedelici che illuminano fino ad abbagliare strade in notturna e interni tetri e talvolta addirittura angusti. Ana Lily Amirpour sa benissimo cosa vuole trasmettere e dove vuole arrivare. E ciò che più piacevolmente colpisce è il fatto che ella è riuscita a mantenere intatto questo suo spirito libero e meravigliosamente indipendente. Nonostante ormai sia diventata un nome piuttosto noto – e non più underground – all’interno del panorama cinematografico mondiale. Questo suo frizzante e travolgente Mona Lisa and the Blood Moon è come un giro sulle montagne russe. Una corsa sfrenata per le strade della città. Una storia ruvida, “urlata”, a tratti dolorosa, ma anche incredibilmente tenera. Due solitudini che si incontrano e che finalmente comprendono che per essere realmente liberi bisogna imparare a conoscere e accettare sé stessi. Nel bene e nel male.