Collezionare ricordi, memorie ed istanti non è mai stato più facile di quanto non lo sia oggi. Gallerie dei cellulari inondate di selfie, di paesaggi mozzafiato, di foto di gatti e screenshot di messaggi troppo importanti per essere dimenticati. Questo magazzino della memoria, tuttavia, rimane tale il più delle volte, “immagazzinando” appunto informazioni che con ogni probabilità non rispolvereremo mai. Si crea così l’attitudine all’accumulo costante, in cui i vecchi ricordi vengono sovrastati da quintali di materiale ogni giorno. Questo ci fa vivere in un eterno presente da documentare, illudendoci di non aver perso il contatto col nostro passato.
Le suddette sono solo alcune delle riflessioni che induce l’evocativo Memory Box, il film drammatico diretto da Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, coppia di registi libanesi. Presentato in anteprima mondiale al 71° Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel marzo 2021, è il primo film libanese ad essere nominato, tra i 15 film, per la Berlinale Competition in quattro decenni.

Il giorno di Natale Maia e la figlia Alex ricevono un misterioso pacco ingombrante. L’evento sciocca profondamente la donna, visto che la scatola contiene tutti i diari, le audiocassette e le fotografie che Maia inviò alla sua migliore amica Lisa, trasferitasi in Francia, nel corso della sua infanzia e adolescenza. Sarà Alex, segretamente, a ricostruire l’intensa storia familiare esplorando il materiale a disposizione e ripercorrendo l’orrore della guerra, i conflitti di Maia con i suoi genitori e la sua passione amorosa verso l’affascinante Raja. La pellicola è nata dalla collaborazione produttiva di quattro paesi, ovvero Francia, Libano, Canada e Quatar.
Se la storia di Memory Box s’incentra primariamente sui sentimenti, l’approccio di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige alla materia è sofisticato e razionale. I due registi s’ispirano in gran parte al loro background multidisciplinare, attingendo quindi all’arte contemporanea per esprimere al meglio il concetto di “memoria”.
Non vi sono i canonici flashback, quanto piuttosto dei tuffi nel passato attraverso foto, negativi, ritagli di giornale e cassette consumate. Riusciamo a tornare indietro e a sperimentare il terrore di Maia e Raja che corrono per le strade di Beirut, mentre le esplosioni dei bombardamenti si moltiplicano attorno a loro.

È un’opera che pone la lente d’ingrandimento sui ricordi e sul senso del tempo, fondendo vari elementi e cercando un approccio diverso dal solito. In questo mosaico, il film mostra una grande sensibilità nel trattare tematiche delicate come il dramma della guerra, senza ignorare sfere più personali come la crescita, l’incomprensione tra generazioni, l’emancipazione femminile e l’identità.
In effetti, a differenza di molti altri film incentrati sulla guerra in Medio Oriente, in Memory Box il conflitto armato passa in secondo piano, lasciando spazio al vero fulcro narrativo, il rapporto madre-figlia, ritratto in tre diverse generazioni. È la storia di vite tormentate, capace di snodarsi attraverso l’adesione a diversi punti di vista femminili, in un intrigante confronto in cui la speranza si fa strada oltre la tragedia.
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