Te estoy amando locamente è il film che ha segnato l’esordio del regista Alejandro Marín nel 2023, con numerose nomination per i premi Goya arriva in Italia in occasione di La Nueva Ola, Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, nella giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Girato tra Barcellona e Siviglia, Te Estoy Amando Locamente prende il nome dalla famosa canzone scritta da Felipe Campuzano nel 1973 per il gruppo Las Grecas. Nel 1996 anche la nostra Raffaella Carrà ne ha fatto una cover.
Marín costruisce insieme a Carmen Garrido Vacas una narrazione dinamica e senza filtri.
In primis siamo chiamati a empatizzare con Miguel, un ragazzo omosessuale di diciassette anni, interpretato da Omar Banana. Miguel è consapevole e cerca disperatamente un posto nel mondo, in un momento storico in cui, secondo le leggi del regime franchista, essere omosessuali significava essere un pericolo sociale.
Il ragazzo vorrebbe provare a fare un provino per il programma TV musicale Gente Joven, che andrà in onda in Spagna dal 1974 fino al 1987, mentre la madre Reme insiste per farlo andare all’università. Un ritratto intimo dove i dissapori aumentano sempre di più, finché Reme decide di portarlo da un medico.
Il medico psichiatra è il ritratto del regime. “Cura” Miguel con forti scosse elettriche ogni volta che il ragazzo, guardando delle diapositive, prova “impulsi omosessuali” (senza alcuna base scientifica, a discrezione del terapetua). Questa scena rappresenta il momento di rottura della storia.
Miguel decide quindi di andare via di casa. Da qui, Marín e Vacas inizano a mostrarci sempre di più la nascita di uno dei movimenti che chiedeva libertà sessuale: il Movimiento Homosexual de Acción Revolucionaria e parallelamente l’accettazione e la partecipazione di Reme a sostegno del figlio. Nella sua catarsi personale, la donna si libera della paura legata al pregiudizio altrui e riconosce l’identità del figlio.
Te estoy amando locamente è un film in cui le contraddizioni emergono prepotentemente con chiarezza. Il prete Manolo cerca di aiutare il gruppo rivoluzionario, ospitandoli nella chiesa e suggerendogli il nome di Giovani Lavoratori Cristiani per non destare sospetti. L’accoglienza però viene meno dal momento in cui le proteste aumentano. I ranghi superiori ecclesiastici richiamano Manolo per la sua condotta, invece di essere inclini al dialogo e all’aiuto del prossimo. Lo stesso accade per l’avvocato, Don Ignacio che invece di svolgere il suo lavoro come legale, ha un dialogo diretto con Reme in cui traspare la diffidenza e la possibilità di macchiare la sua reputazione per questi casi.
Al pari del film 120 Battiti al minuto (2017) di Robin Campillo, anche se in un periodo storico diverso (gli anni Novanta) e per una battaglia diversa (gli attivisti di Act Up-Paris vogliono portare l’attenzione sociale sulla malattia dell’AIDS) scene storiche si intrecciano con la vita quotidiana romanzata dei protagonisti, restituendo un quadro complesso ma ricco di emozioni.
Non dei freddi documentari storici, ma un viaggio nel passato per ricordarci che tutto ciò che oggi ci sembra scontato, non lo era nella generazione precedente. Marín e Vacas rendono omaggio alla lotta di coloro che, a volte pagando con la vita, si sono battuti per la parità e la libertà di espressione sessuale, donandoci la vita di oggi.