La stranezza di Roberto Andò, presentato alla 17ª edizione della Festa del Cinema di Roma, è ora in sala e registra numeri record, raccontando Luigi Pirandello e il suo mondo, tra realtà e fantasia.
Toni Servillo torna ad omaggiare il teatro e dopo Scarpetta (Qui rido io di Mario Martone), Andò lo sceglie per La stranezza come volto e anima del grande Luigi Pirandello.
Una somiglianza che ha dell’incredibile, che sommata alle grandi doti attoriali di Servillo, che ormai conosciamo bene, crea un quadro perfetto per questa pellicola.
Ma se per Servillo la storia era già scritta e le aspettative con lui sono sempre altissime, la vera rivelazione del film sono Ficarra e Picone. Il duo comico, qui nei panni dei due becchini e teatranti Onofrio e Sebastiano, dimostrano di essere all’altezza della pellicola e non solo, prendono tutto lo spazio sullo schermo e diventando specchio di quella Sicilia, ma anche della mente del poeta italiano.

Ed è da qui che parte infatti la storia de La Stranezza, con Pirandello che torna in una Sicilia degli anni ’20, a Girgenti, per gli 80 anni di Verga, interpretato dal grande Renato Carpentieri. Un viaggio iniziato come una visita breve, ma che poi si trasforma in un lungo periodo con tempi sospesi e dilatati. A far fermare, anzi quasi ad intrappolare, Pirandello in Sicilia è la notizia della morte della sua vecchia balia, che darà inizio a questo strano soggiorno dai toni cupi ma anche divertenti.
E se c’è un funerale, si sa, ci sono anche i classici becchini tutti in nero, ed ecco quindi che entrano in scena Ficarra e Picone. I due, impiegati alle pompe funebri per necessità, ma teatranti per passione, mettono in moto quel vortice che risucchierà Pirandello per tutto il film, assorbendolo in quel clima di stranezza, che lo affascina e lo cruccia allo stesso tempo.
Sono proprio loro l’espressione del pensiero del celebre poeta, divisi tra chi sono e chi vogliono essere, tra realtà e apparenza, vita e teatro. Nofrio e Bastiano, tutti presi nella loro viscerale teatralità coinvolgono Pirandello, non sapendo inizialmente che si tratti proprio del grande drammaturgo, nel loro umile spettacolo, messo in scena in una piccola parrocchia. E Servillo-Pirandello non fa altro che rimanere in disparte, spiando quel mondo umile ma tanto coinvolgente, sprezzante e appassionato che risveglia in lui idee sopite.

Quella raccontata ne La stranezza è infatti una precisa porzione della vita del poeta, un racconto di un periodo di stallo vissuto da Pirandello, il classico blocco dello scrittore che lo costringe alla continua ricerca di questa stranezza, che lo assilla, lo devasta fino a lasciarlo in sospeso tra idee, crisi e lutto.
Tutto si accavalla nella testa del poeta, che viaggia nella sua mente dove il pubblico riesce ad entrare pian piano, destreggiandosi tra verità e visioni e rimanendone felicemente intrappolato senza una vera soluzione, almeno non fino alla fine del film. Soluzione che arriva per il pubblico, nel momento in cui arriva per il poeta.
Ho in mente una stranezza…è diventata quasi un’ossessione
Quella di Andò è infatti una pellicola pirandelliana, nel senso stretto del termine, che porta con se l’impossibilità di distinguere tra realtà, apparenza e finzione ed il pubblico si trova stretto in quest’idea, in questa visione o meglio in questa poetica che sciocca ma seduce.
L’accortezza del film di Andò infatti sta proprio nell’omaggiare il celebre autore siciliano con un film che ricalca perfettamente il suo modo di scrivere e fare teatro, anzi meta-teatro.

Un film costruito con grande maestria, con una fotografia cupa che restituisce quel senso d’incertezza e sospensione, come se le idee stesse fossero immerse nella fitta nebbia della città.
Un racconto intricato e perfettamente orchestrato, tutto preso in un groviglio di storie di paese, segreti, tradimenti, sotterfugi e finzione che rendono La stranezza quasi un film del mistero.
Un po’ ghostmovie, un po’ tetro e cupo eppure allo stesso tempo luminoso, immerso in una Girgenti che nasconde le sue cose “losche” proprio sotto la forte luce del giorno.
I morti che non trovano posto, gli ingranaggi del sistema che vanno oliati, sempre e solo col denaro, i tempi che si dilatano e creano un limbo che sembra non dover finire mai. Ma a Pirandello tutto questo piace, e sinceramente anche a noi, tanto che si lascia sedurre da quest’atmosfera, da queste persone, uomini, donne, attori e comparse.
C’è anche un piccolo spazio per il bravissimo Luigi Lo Cascio, qui capocomico dell’opera pirandelliana finalmente presentata al pubblico. Ed è così, quasi cullato da quel modo bizzarro di fare e di vivere, che il drammaturgo compone, pezzo per pezzo, quella stranezza che gli balenava in testa sin dall’inizio.
Tutto sembra un palcoscenico, un grande teatro a cielo aperto che continuamente offre spunti, idee e sorprese a Luigi Pirandello, che osserva le cose da un punto di vista privilegiato ma sempre nascosto.
Insomma, Roberto Andò stupisce il pubblico con una pellicola meravigliosamente pensata, elaborata ed eseguita, che tiene incollato il pubblico in questo sovrapporsi di immagini ed eventi annodati, che riuscirà a sciogliere solo quando Pirandello riuscirà a tirare i fili intricati dei suoi pensieri.