Verso la fine degli anni Sessanta ha avuto luogo a Roma un importante processo: il processo contro il poeta e drammaturgo Aldo Braibanti, accusato di aver “plagiato” un suo studente più giovane, con il quale aveva da tempo una relazione amorosa. Tale processo, al contempo, ha dato adito a numerose proteste e manifestazioni: perché mai una relazione omosessuale dovrebbe destare tanto scalpore? E, soprattutto, perché a seguito di tali scelte si dovrebbe finire in galera o addirittura in un ospedale psichiatrico?

Il regista Gianni Amelio ha messo in scena questo importante capitolo della storia italiana nel suo lungometraggio Il Signore delle Formiche, presentato in corsa per il Leone d’Oro alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Per l’occasione, dunque, Braibanti è stato impersonato da Luigi Lo Cascio. Una garanzia all’interno del panorama cinematografico nostrano. Basterà, dunque, la sua presenza scenica a far sì che un intero lungometraggio funzioni? Andiamo per gradi.

Braibanti è da sempre affascinato dalla vita delle formiche, le quali non riescono a stare isolate dalle proprie compagne e addirittura hanno due stomaci: uno per nutrire sé stesse, l’altro per nutrire chi ne abbia bisogno ed è impossibilitato a procurarsi del cibo da solo. La loro vita potrebbe addirittura essere paragonata a quella degli esseri umani. Peccato solo che, proprio tra gli esseri umani, tale senso di solidarietà sia spesso soltanto un’utopia.

Nel momento in cui la relazione tra il protagonista ed Ettore (impersonato da Leonardo Maltese, qui al suo debutto sul grande schermo) viene allo scoperto, il ragazzo verrà internato, per volere della sua stessa famiglia, in un ospedale psichiatrico, dove verrà sottoposto a elettroshock al fine di poter “guarire”.

Aldo, al contrario, verrà processato. Al suo fianco: la sua anziana madre (che dato il contesto e lo speciale rapporto tra di loro tanto sta a ricordare la madre del grande Pier Paolo Pasolini) e il giovane giornalista Marcello (Elio Germano), deciso a far sì che l’ingiustizia del processo venga finalmente ufficialmente riconosciuta.

Il Signore delle Formiche, dunque, nel mettere in scena una situazione accaduta ormai circa sessant’anni fa, cerca di attualizzare il discorso raccontando, a suo modo, i tempi in cui viviamo.
Nulla di nuovo? Nulla di nuovo.

Eppure, nel rappresentare il presente attraverso il passato, questo ultimo lungometraggio di Gianni Amelio si distingue innanzitutto per la grande attenzione alla componente umana. Primi piani sui volti silenti e sofferenti dei protagonisti comunicano molto più di quanto le parole non riescano a fare (particolarmente evocativa, a tal proposito, la scena in cui Aldo ed Ettore si incontrano al parco, mentre quest’ultimo è intento a dipingere alcune scenografie teatrali).

Come sovente accade nel cinema di Gianni Amelio, Il Signore delle Formiche vuole spingere lo spettatore ad agire, a riflettere, a non restare, appunto, un semplice spettatore passivo. Le scene di protesta parlano da sé.

Umano e sociale si amalgamano complessivamente bene in un discorso che tocca ogni singolo aspetto della nostra quotidianità. La famiglia, la religione e le istituzioni non ne escono affatto pulite.

Gianni Amelio riesce nei suoi intenti, su questo non c’è dubbio. Eppure, nonostante ciò, considerato all’interno del ricco concorso veneziano, il suo Il Signore delle Formiche sembra quasi fuori luogo, dato l’approccio tendenzialmente televisivo.
Probabilmente, in un’altra occasione, il nostro giudizio avrebbe potuto essere molto più benevolo.