Dopo Il signore delle formiche, Gianni Amelio torna in concorso all’ 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con Campo di battaglia (in uscita nelle sale italiane già il 5 settembre), opera inedita pronta a mostrare punti di vista inconsueti della prima guerra mondiale.
Con una lunga e suggestiva sequenza attorno ai corpi accatastati, senza vita, dei soldati Amelio introduce lo spettatore nell’Italia che, sul fronte austriaco, combatte quello che sarà l’ultimo anno di guerra del primo conflitto mondiale. I pochi reduci dalla battaglia, spesso ridotti a brandelli, sono curati nell’ospedale militare da due ufficiali medici, amici d’infanzia.
Tra mutilati in fin di vita, autolesionisti infertisi da soli le ferite per non tornare in trincea e una più diffusa psicosi, il primo, Stefano (Gabriel Montesi), è ossessionato dallo scovare i malati “impostori”, mentre Giulio (un Alessandro Borghi che dimostra ancora una volta la sua estrema versatilità), più mite e tollerante, cerca di contenerne la spregiudicata caccia.
Dopo l’arrivo di Anna (una splendida Federica Rosellini sempre più addentro al panorama cinematografico italiano), un’amica dei due dai tempi dell’università fattasi poi volontaria della Croce Rossa, l’inspiegabile aggravarsi di alcuni pazienti pronti a tornare in guerra prima, e l’insorgere dell’influenza spagnola poi, creeranno tensioni tra i tre colleghi all’interno della clinica.
La ricchezza tematica che, sottotraccia, innerva Campo di battaglia riproduce un affresco ricco di dettagli: l’Italia della Grande guerra di Amelio è, in maniera realistica, un paese ancora profondamente diviso da una barriera linguistica valicabile solo empaticamente, in cui alla donna, in maniera tristemente inevitabile, erano precluse le medesime opportunità dei colleghi uomini e una nazione ulteriormente tormentata dalla spagnola (uno spaccato percepito inquietantemente attuale dopo la pandemia da Covid-19).
Purtroppo forse quest’ultima vicenda, protagonista della seconda metà del film con un cambio fin troppo repentino, diluisce la fascinazione per quella “caccia all’uomo” che si giocava tra moralità ed empatia nell’ospedale.
La bella fotografia terrea, ricca di bruni (tanto più efficace nelle scene notturne), contribuisce a esaltare esattamente quel campo di battaglia clinico, speculare e visceralmente connesso a quello del fronte, in cui i tre protagonisti si trovano a combattere. Ciascuno con una diversa etica e una differente visione sugli obblighi dell’individuo nei confronti di una guerra disumana e disumanizzante è costretto a prendere scelte tanto gravose da non essere cesellabili in banali e monolitici giudizi morali (che per il personaggio di Borghi sarebbero state probabilmente ancor più sfumate se si fosse ceduto a qualche scena un po’ più esplicita).
Con Campo di battaglia Gianni Amelio regala non uno, ma ben due punti di vista sulla prima guerra mondiale non già cannibalizzati dal cinema, costellandoli di una moltitudine di dettagli che rendono vibrante la narrazione; nonostante ciò, però, non è riuscito a rendere il risultato maggiore della somma delle singole parti.