Presentato in concorso all’ 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Babygirl di Halina Reijn (giovane promessa del cinema indipendente fattasi notare con Bodies Bodies Bodies) è, o dovrebbe essere, un thriller erotico in cui si sondano, citando la regista, «fantasie proibite che potremmo non confessare mai a nessuno», ma difronte alle quali, nella bellissima Sala Grande del Lido, pochi spettatori hanno saputo trattenere il riso.
La babygirl del titolo è una stereotipica madre di famiglia, Romy (Nicole Kidman), il cui profondo amore per il marito (Antonio Banderas) è macchiato solamente dall’incapacità di quest’ultimo di regalarle un orgasmo. La donna, potente amministratrice delegata per una Big Tech, sopperisce a tale mancanza intraprendendo una folle (?), perversa (?), ridicola (!) relazione con Samuel (Harris Dickinson), un suo stagista decisamente più giovane che metterà a rischio la sua vita familiare e lavorativa.
In Babygirl Reijn, per la prima volta dietro la macchina da scrivere, confeziona una sceneggiatura che non solo si rivela prevedibile (sfuggendo alla più becera banalità alla Cinquanta sfumature di grigio solo grazie al ribaltamento di genere nei rapporti di potere tra tradito e traditore, capo e stagista), ma riesce anche a rendere tutto alquanto affrettato (con l’incandescente desiderio della protagonista sbocciato già nella seconda scena con l’addomesticamento di un cane aggressivo da parte del ragazzo). Il tutto contribuisce a un vertiginoso climax di dialoghi sempre più grottescamente cringe, e perciò involontariamente divertenti.
Con buona pace dei tre (in altre occasioni) bravissimi interpreti, che non riescono in alcun modo a riportare le atmosfere sui binari del thriller (e neanche le belle musiche tensive, purtroppo sprecate), Babygirl risulta soprattutto ridicolo nel tentativo di narrare un rapporto percepito dai protagonisti con la gravitas dell’oscenità più dissoluta ma che, ammiccando al BDSM, non ne riproduce né le reali complessità simbolico-sensuali, né tantomeno riesce a mostrarne le sfaccettature chiaroscurali; al contrario, la “perversione” propagandata (che si spinge al massimo fino a far leccare un po’ di latte da un piattino alla Kidman) sembra affrontata con una sensibilità bigotta che non può che generare ilarità rapportata alla più generale ed estrema sessualizzazione della presente società.
Il timbro A24 (riconoscibilissimo anche in una nauseante fotografia incapace, nella sua sobrietà, a mettere a fuoco oltre il viso degli attori) arriva forse al suo primo, grande fallimento con Babygirl. Contro ogni proposito, infatti, Halina Reijn non riesce a ritrarre con profondità il femmineo al potere, benché meno a magnetizzare dipingendo quelle pulsioni di eros e thanatos professate dai tormentati amanti; nonostante ciò, l’ilarità che esplode scena dopo scena può rendere ugualmente piacevole la visione, certo a patto che si riesca a dimenticare che la Kidman, anni fa invece, ha girato quel capolavoro, veramente thriller ed erotico, di Eyes Wide Shut.
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