È il cruccio di ogni cinefilo contemporaneo: è giusto considerare i film prodotti da Netflix (e distribuiti unicamente sulla piattaforma online) alla pari di quelli che seguono il classico percorso che li vuole proiettati in una sala cinematografica prima di essere disponibili, in qualsiasi formato, al grande pubblico?

Quando al 70° Festival di Cannes venne inserito un film targato Netflix (Okja), nella selezione ufficiale, esplose un vero e proprio caso che coinvolse il Presidente della giuria, Pedro Almodovar, convinto sostenitore del grande schermo, e il giurato Will Smith, la cui visione era ben più democratica e aperta a nuove possibilità. (Ne aveva parlato anche il nostro Angelo Moscariello nel suo editoriale del luglio scorso).
Nonostante le remore del regista spagnolo sul premiare film non destinati alle sale cinematografiche, Okja non vinse alcun premio e vista l’indifferenza di stampa e pubblico nei confronti di questo, come degli altri lungometraggi della grande N rossa, era evidente che qualcosa doveva cambiare.
Mancava, insomma, qualcosa di luminoso, come Bright, che con i suoi 90 milioni di dollari di budget è, ad oggi, il film più costoso e forse il migliore mai realizzato da Netflix.

In una Los Angeles dai toni fantasy, Daryl Ward (Will Smith) è il primo poliziotto a fare coppia con un collega orco. Sì, perché nel fittizio universo creato da Max Landis, esseri umani, elfi e orchi convivono, più o meno pacificamente in un contesto sociale ben definito, che vuole le algide e sofisticate creature all’apice e gli imponenti mostri nel gradino più basso della scala gerarchica. Se gli elfi vivono in uno speciale settore della città, da cui comandano e acquistano capi griffati, gli orchi popolano i sobborghi e sono dediti ad attività illegali.

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Per questo, il desiderio dell’orco Nick Jacoby – un irriconoscibile Joel Edgerton – di far rispettare la legge è un’eccezione e un peso per tutto il dipartimento di polizia, a maggioranza umana, che non riesce a sopportare la presenza della mostruosa visione in uniforme, ma che al contempo deve sostenere l’integrazione fra le “specie”.

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Ward e Jacoby formano una copia anomala, ma in linea con la tradizione dei buddy movie statunitensi, in cui l’apparente scontrosità del primo e la spudorata sincerità del secondo creano situazioni comiche e paradossali anche nel mezzo dell’azione. Sarà l’incontro con l’elfa Tikka (Lucy Fry), a innescare una  frenetica fuga dall’Inferni Leilah (Noomi Rapace) determinata a riportare la sorella (Tikka) sulla via delle tenebre e riprendere la bacchetta magica sottratta, con cui ha in programma di risvegliare il Signore Oscuro. Peccato per lei che la giovane sorella abbia incontrato casualmente non solo due guardie del corpo di prim’ordine, ma anche due potenziali bright.

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Non tanto gli elfi, o gli Inferni (elfi legati alle arti oscure), ma quanto i bright sono gli unici a poter utilizzare artefatti magici senza essere polverizzati dalla loro energia; il loro dono li rende rari, quanto potenzialmente pericolosi e per questo prede appetibili per l’ufficio degli affari magici, intenzionato a individuare ed eliminare ogni possibile seccatura.

C’è molta carne al fuoco in questi 117 minuti in cui azione, magia e ironia si combinano in una pozione convincente, nella quale anche le scelte narrative più intuibili, vengono superate con un montaggio serrato e ben scandito. La storia, lo script, le scelte registiche e persino il cast rendono comunque chiaro l’intento di voler realizzare un semplice prodotto di intrattenimento che, sebbene potrebbe sostenere il grande schermo, certo non aspira a rivoluzionare la storia del cinema, ma a divertire un pubblico comodamente seduto di fronte al proprio televisore o al proprio pc.

Bright è un passo in avanti rispetto a quello già disponibile sulla piattaforma; un prodotto riuscito, confermato dal gradimento del pubblico e da un secondo capitolo già in cantiere che si prospetta più costoso del precedente, ma che con la Settima Arte avrà sempre poco in comune.

Per approfondire l’argomento Sci-fi: IL MITO DI STAR WARS,  THE SHAPE OF WATER