Chiunque possieda uno smartphone o una connessione internet sa per certo cosa sta accadendo da circa due mesi a questa parte in Europa. Dal 24 febbraio, l’inizio dell’offensiva militare da parte delle Forze armate della Federazione Russa ai danni del territorio ucraino ha stravolto gli equilibri politici ed economici globali, costringendo tutti ad essere spettatori di uno spettacolo crudele e scellerato.
In questo contesto, Atlantis (2019) acquisisce un significato ben più dirompente di quanto si potesse immaginare tre anni fa. Il film diretto dal regista ucraino Valentyn Vasyanovych è un’opera cupa, che serpeggia tra temi come il PTSD, il cambiamento climatico, il suicidio, il capitalismo, senza edulcorarne nessuno. Seppur in contrapposizione con l’orrore di ciò che ritrae, è innegabile una cura del dettaglio e dell’inquadratura, in grado di donare al tutto un’armonia paradossale.

La storia prende luogo in Ucraina, nel 2025. Tramite i titoli di testa, apprendiamo che i fatti narrati avvengono cinque anni dopo che le forze governative hanno trionfato nella battaglia contro i separatisti filorussi. C’è da dire che “trionfo” non è l’espressione più consona, visto che alle proprie spalle è stato lasciato un vero inferno di macerie, acqua inquinata e una popolazione a dir poco traumatizzata.
A farne parte vi sono anche Sergiy (Andriy Rymaruk) e Ivan (Vasyl Antoniak), ex soldati che lottano con il loro PTSD, realizzando quanto poco la loro vittoria abbia influito positivamente sulle loro vite. Entrambi ora lavorano in un’acciaieria che è sull’orlo della chiusura, lasciando i due scivolare ancora una volta al loro mindset militarista, in cerca di un porto sicuro.

Atlantis da molta poca importanza alla trama, spostando lo sguardo sull’emozioni e sui processi mentali dei protagonisti. Per farlo, Vasyanovych opta per un approccio deliberatamente distaccato, catturando tutto, dai paesaggi bombardati ai cadaveri abbandonati, il tutto attraverso una serie di piani sequenza suggestivi.
L’effetto è destabilizzante, ma allo stesso tempo ottimale per conseguire l’obiettivo prefissatosi di valorizzare il carico emotivo del materiale a sua disposizione. Inoltre, è curioso come, nonostante l’assoluto grigiore della storia trattata, il film non diventi mai insopportabile da guardare.
Anche i momenti più crudi e spiacevoli vengono manipolati tanto da risultare delicati. Non si fugge dall’orrore, non ci si crogiola nella disperazione, ma l’occhio metodico del regista regala al pubblico una prospettiva del tutto nuova.

Non vi è dubbio che Atlantis sia un prodotto di ottima fattura, il che rende anche facile comprendere la sua vittoria nella sezione “Orizzonti” alla 76ª edizione della Biennale di Venezia. È comprensibile che la maggior parte di noi sia alla ricerca di distrazioni, per allontanarsi almeno per un paio d’ore dai tuoni assordanti della realtà, sempre pronti a ricordarci cosa succede.
È vero però che un’opera come questa ci aiuta, donandoci un approccio innegabilmente unico e visionario, viste le tempistiche. Valentyn Vasyanovych è indubbiamente un cineasta che più di un qualcosa da dire sul mondo in cui viviamo e sulla direzione che abbiamo intrapreso come specie. Oggi, nel mondo in cui viviamo, è cruciale imparare a dare eco a queste voci, nel chiasso che ci circonda.
[…] si parla di argomenti spinosi, la guerra fa capolino quasi immediatamente all’interno della discussione. In ambito cinematografico, […]