Antonio Colucci, 46 anni, è un regista che ha all’attivo un solo film, realizzato venti anni fa e uscito solamente in home video in Germania.

Non ha mai rinunciato alla sua passione: è ancora pieno di idee e di progetti, ma si trova impelagato in mondo dove, per tirare avanti, dirige piccoli spot pubblicitari per le aziende locali. Non si è mai arreso e ora più che mai è determinato a dirigere il suo secondo film; il problema però è il budget: non riesce a trovare un finanziatore.

Una Domenica notte è l’esordio sul grande schermo del giovane regista lucano Giuseppe Marco Albano, vincitore del nastro d’argento con il cortometraggio Stand by me.

La pellicola nasce grazie anche al supporto dell’attore protagonista Antonio Andrisani, autore del soggetto e coautore della sceneggiatura.

Non è difficile trovare nel film cenni autobiografici, o comunque attinenti alle peripezie che si trova costretto ad affrontare chiunque voglia intraprendere un lavoro “creativo” come la frustrazione del trovarsi di fronte una serie di porte chiuse, la rabbia nel vedersi scavalcare da parenti e amici dei produttori (efficacissimo, a questo proposito, il personaggio del coreografo Pip-Pop) la difficoltà a scendere a compromessi in un contesto in cui la qualità del proprio lavoro, e ancor più la sua dignità, sembrano ormai dettagli superflui.

La forza del film risiede nella sua ambientazione: la provincia di Matera dove sognare di fare cinema è un qualcosa di assurdo e completamente estraneo a codesta realtà.foto2

Con un registro linguistico che sfocia nel grottesco (emblematici gli spassosi spezzoni di provini che sono disseminati qua e là durante la visione e che ricordano i personaggi paradossali di cinicoTV di Ciprì e Maresco), Giuseppe Marco Albano rappresenta la tragicomica ricerca di fondi del protagonista mostrando una realtà buffa e destabilizzante, ma tristemente vera. Nella seconda parte il film indugia troppo nella raffigurazione dell’universo del protagonista, soprattutto quello familiare, senza concludere in maniera drastica ed efficace la vicenda. L’esordiente regista è bravo nel cogliere vizi ed idiosincrasie, portati al parossismo, della provincia e delle istituzioni “culturali”, meno quando prova a tratteggiare il personale, come il rapporto del regista con suo figlio o con le due presenze femminili, risultando poco efficace e troppo convenzionale. Tuttavia il finale, che non sbagliamo a definire meta-cinematografico, riscatta in larga parte la scarsa originalità della seconda parte.

Nel panorama triste e sconsolato del cinema italiano fa capolino Giuseppe Marco Albano, di anni 28, che prova con una pellicola fresca ed originale a rischiarare la nebbia che offusca il cinema di casa nostra.