I tempi cambiano ma l’esigenza di raccontarli e immortalarli rimane sempre la stessa: nel 1941 Orson Welles mostrava la forza dei mezzi di stampa nel capolavoro Citizen Kane (tradotto in Italia come Quarto potere), nel 1976 Network di Sidney Lumet (noto nel nostro paese come Il quinto potere) metteva alla berlina la televisione ed oggi, nel 2013, The fifth estate di Bill Condon (tradotto anch’esso come Il quinto potere) porta sul grande schermo la storia di WikiLeaks e del suo fondatore Julian Assange (interpretato da Benedict Cumberbatch). Non si vuole certamente fare un confronto tra i film citati, ma ragionare su come in ogni epoca sia importante, quasi necessario, riflettere sui media che fanno così tanto parte della nostra vita fino ad arrivare addirittura a gestirla e comprometterla. Emblematica è la sequenza iniziale: un excursus sull’evoluzione dei vari mezzi di comunicazione e su alcuni avvenimenti che hanno segnato la storia moderna, un inizio sincopato con zoom in e out che portano in continuazione dentro e fuori la notizia.
Tutti conoscono WikiLeaks: è nata nel 2006 come organizzazione no-profit con l’obiettivo di pubblicare notizie e documenti segreti per far conoscere a tutti ciò che accade realmente nel mondo e che i mezzi istituzionali non raccontano; nel 2010, a seguito della più grande fuga di informazioni riservate di tutti i tempi, è diventata un caso diplomatico ed un problema di livello mondiale, e così lo stesso Assange. Il film di Bill Condon, sceneggiato da Josh Singer e basato sui libri Inside WikiLeaks di Daniel Domscheit-Berg (il collega di Assange interpretato nel film da Daniel Brühl, il Lauda di Rush) e WikiLeaks dei giornalisti di The Guardian David Leigh e Luke Harding, non solo racconta l’ascesa della temuta organizzazione, ma si/ci interroga sul concetto di moralità, trasparenza e ideale.
“Non è un documentario” afferma il regista “Rappresenta solo una parte e un’interpretazione della storia: non avevamo intenzione di dar vita ad un film contro o in favore di WikiLeaks, ma piuttosto volevamo mostrare come e perché l’organizzazione sia riuscita a fare cose straordinarie ed esplorare alcune delle maggiori problematiche che ha messo in luce, mentre intanto portiamo il pubblico a vivere un viaggio emozionante, assieme ad un personaggio affascinante della nostra epoca. Abbiamo deciso di far vedere diversi punti di vista, di porre tante questioni e poi di lasciare che ognuno arrivi alla sua conclusioni personale”.
Lo spettatore può infatti cercare di farsi largo tra le problematiche evidenziate attraverso il pensiero razionale di Berg, allo stesso tempo primo ammiratore e primo detrattore del lavoro di Assange, quello dei diplomatici statunitensi, che devono fare i conti con le conseguenze delle scottanti rivelazioni pubblicate, e quello dei giornalisti legati al leader di WikiLeaks che proprio grazie a lui hanno avuto importanti esclusive da prima pagina. E poi, ovviamente, abbiamo il pensiero e il punto di vista di Julian Assange: come possiamo definirlo? Un sognatore? Un hacker? Un rivoluzionario dai capelli bianchi che insegue degli ideali per rendere il mondo migliore? Un folle dall’infanzia difficile che rischia di compromettere vite pur di non cedere al compromesso? È proprio questo il punto cui vuole arrivare il film, senza fornire risposte, ed è lo stesso che logora dall’interno il rapporto Berg-Assange fino a comprometterlo definitivamente: fin dove è lecito spingersi pur di non tradire il proprio ideale? C’è un confine da non superare? L’eccellente interpretazione di Cumberbatch, colonna portante della pellicola, ci mostra un uomo determinato ma instabile, pieno di ideali encomiabili ma senza freni e limiti, un essere solitario che si presta ad una duplice, antitetica interpretazione: eroe o criminale?
Tra stringhe e codici, tweet e chat, tasti che digitano freneticamente sulle tastiere e computer che devono essere sempre pronti a scomparire, la metafora ricorrente scelta per raccontare WikiLeaks è più tradizionale, ma non per questo meno incisiva: un ufficio anonimo e sterminato, con un numero illimitato di scrivanie e pc dietro i quali è seduto sempre e solo Julian Assange.
Emanuela Andreocci