La macchina a mano schiva le persone di una folla festante e il suo occhio spazia tra i volti neri durante una parata urbana e tribale. Poi irrompe un’unica frase, forse scontata: “Sono uno spirito libero”. Ma che bello iniziare così un film…

What you gonna do when the world's on fire. Venezia 75. Roberto MinerviniRoberto Minervini è un regista italiano emigrato nel Sud degli Stati Uniti dove ha trovato la sua dimensione artistica. Con i suoi film indaga le radici profonde delle culture africane americane e riferisce lo stato attuale dei neri del ghetto. La sua cinematografia è a metà strada tra il documentario e il film di finzione, la sua vena artistica è pressoché sconfinata. Con What You Gonna Do When The World’s On Fire? entra in luoghi proibiti ai bianchi dove si consuma lo scempio anacronistico della discriminazione razziale.

Riflettendo sulle scelte del film vengono in mente le parole dell’editore francese Marcel Duhamel che consigliò a Chester Heim, noirista afroamericano mai apprezzato in patria, di non raccontare una storia, ma di lasciarla scolare dalla bocca dei protagonisti. Minervini sembra figlio di questa concezione narrativa. Infatti in What You Gonna Do When The Word’s On Fire il regista affida la narrazione alla quotidianità di chi sconta la triste storia sulla propria pelle.
Non sono mai ripresi gli abusi e soprusi alla periferia estrema di New Orleans ad opera delle autorità, al culmine di una serie di brutalità e omicidi perpetuati dalla polizia nei confronti della gente di colore, ma rappresentano l’innesco di tutto il film. La vita della comunità nera del Sud americano è segnata da questi eventi che spariscono in fretta dalle pagine di cronaca, mentre le New Black Panther organizzano manifestazioni di denuncia e protesta. Racconti paralleli s’intrecciano in un’unica visione collettiva del regista che amalgama il tutto in un bianco e nero significativo, poetico e mai retorico. What you gonna do when the world's on fire. Venezia 75. Roberto Minervini
Minervini manovra lo strumento cinematografico con la leggerezza di una stilografica, ma si vieta ogni ricciolo e abbellimento. Boccia la sceneggiatura vera e propria in favore di un raffinato lavoro di montaggio. La poesia della sua opera risiede nella capacità narrativa di andare oltre la cornice dell’inquadratura pur rimanendo fisso sul primo piano. I campi lunghi sono poi un tonfo al cuore, pochissimi ed essenziali, portano lo spettatore all’interno della degradata periferia e lo pongono al fianco dei protagonisti, vicino agli ultimi.. 
Non è facile inquadrare What You Gonna Do When The World’s On Fire? in un discorso di distribuzione cinematografia, siamo però lietissimi di averlo incontrato a #Venezia75 sparso nella programmazione dei film in concorso. Praticamente un tulipano nero al mercato dei fiori di plastica.