Si sa che una bella serie TV può trasportarci dove vogliamo, purché sia altrove. Ecco perché, in questa quarantena dalla quale non possiamo proprio scappare, vi consigliamo ben tre imperdibili serie che, oltre a tenervi compagnia, vi emozioneranno e stimoleranno.

Parliamo di: When they see us, miniserie disponibile su Netflix dal 31 maggio 2019, mettetela in lista, ne vale la pena.
Rimaniamo sempre su Netflix con Pose, rilasciata il 31 Gennaio 2019, mentre la tanto attesa seconda stagione è sulla piattaforma dal 30 Ottobre, se non l’avete ancora vista provvedete subito!
Arriviamo infine su Sky per l’ultima serie proposta, Euphoria, in Italia dal 26 Settembre dello stesso anno, non vi deluderà.

When they see us

Una sola parola tiene insieme le quattro puntate della miniserie disponibile su Netflix: verità.

Una verità che lo spettatore già conosce, trattandosi di una storia vera, ma che fa fatica ad affermarsi; una verità che passa per le cinque bocche dei cosiddetti “Central Park Five”, bambini ingiustamente condannati per un crimine del quale non sapevano neanche l’esistenza.

Siamo nel 1989 a Central Park, quando una giovane jogger, Trisha Meili, viene aggredita e stuprata per poi essere abbandonata nel parco. Da questo scioccante evento prende inizio l’incubo dei cinque protagonisti che si scontrano, troppo giovani, con i contorti meccanismi della giustizia, con il razzismo, l’abuso di potere e condanne frettolose per assecondare una stampa sempre troppo presente.

When they see us non è solo un racconto, un fare luce su fatti accaduti, è una lotta in quattro puntate contro i pregiudizi e le convinzioni di una società che punta il dito contro le minoranze (un frame di un giovane Trump che da una vecchia televisione propone la pena di morte per i giovani ragazzi ci fa capire come le vecchie abitudini siano dure a morire). Fare luce non solo in senso figurato ma anche in senso pratico, la fotografia precisa e ben studiata è frutto della dedizione della regista Ava DuVernay che, come lei stessa ha spiegato, si è trovata a dover attuare particolari giochi di luci per destreggiarsi tra i diversi toni di pelle del suo cast.

Nulla è lasciato al caso in questa serie, ogni inquadratura è attenta, i primi piani sono pochi ma azzeccati. La videocamera si tiene sempre un passo indietro, come se dovesse cogliere con piani ravvicinati solo i momenti essenziali, come quando Kevin Richardson  (interpretato da Asante Blackk) ammette di aver mentito: l’inquadratura si avvicina per consacrare questa ammissione di colpa da parte di un bambino, un mea culpa mai fatto dalle autorità.

Questa serie tv è un rincorrersi di emozioni, dall’empatia che ci fa puntare i piedi a terra per un verdetto che già sapevamo sarebbe arrivato, ad un bianco senso di colpa per le ingiustizie che i ragazzi si sono trovati a subire solo perché venivano dalla parte sbagliata della città. Perfettamente inquadrata la dimensione familiare, con tenerezza e sostegno che si condensano negli abbracci finali. Ricordatevi un volto: Jharrel Jerome, l’unico attore che vi accompagnerà fino alla fine, interpretando il suo ruolo da bambino ad adulto, un’immedesimazione perfetta, uno sguardo innocente, fino alla fine.

Pose

Tacchi a spillo e lustrini sono solo due degli ingredienti che creano la patina Glamour che “nasconde” i forti temi di questa imperdibile serie FX. Tornano in scena le minoranze, i cosiddetti emarginati sociali che trovano la loro dimensione e inclusione nelle Ballroom e nelle case sapientemente costruite per evitare una solitudine imposta alla comunità LGBT+ dall’America dei primi anni ’90. Un cast transgender e queer d’eccezione che rispecchia al meglio quello che Pose vuole affermare: l’uguaglianza.

Sulle note di Madonna e del tanto amato Vogueing si intrecciano le vite dei protagonisti che, tormentati da una vita ai margini, trovano il loro posto in competizioni artistiche che si rivelano vitali per affermare la loro identità.  L’estetica, l’eleganza, la ricercata perfezione colpiscono un pubblico fino ad ora poco istruito su questa comunità. Nessuno viene lasciato indietro, dal ballerino omosessuale alla modella transgender, ognuno con i suoi sogni che la società cerca di ostacolare.

Non si può essere ciechi davanti a Pose. I colori accesi (tipici del regista Ryan Murphy: Glee, American Horror Story), la musica forte, il trucco perfetto, tutto minuziosamente studiato e presentato vi farà aprire gli occhi come mai prima. I marciapiedi di New York vengono scandagliati dalla telecamera: droga, prostituzione, aggressioni, AIDS e tutto quello che il buio della città porta con se.

Aggrappatevi alla voce rassicurante e al sorriso beffardo del superbo Billy Porter (vincitore di un Emmy Award proprio per il suo ruolo in questa serie) che vi condurrà in questo viaggio dal quale ne uscirete cambiati. La recitazione è perfetta, il cast impeccabile e perfettamente immedesimato nel contesto, i personaggi si raccontano con classe, mai cadendo nel melodramma, nonostante le forti tematiche trattate.

Regia splendida e scaltra che trasuda stile sfacciato sin dal primo episodio, catapultandoci nel furto di abiti regali dal museo e riproponendoceli vivi nelle ball room. Le riprese sontuose contrappongono lo stile glitterato ma nascosto della comunità transgender alla New York che li emargina, ripresa dalle enormi vetrate della scuola di ballo.
Delicatezza ed arroganza, una carezza ed uno schiaffo, Pose è questo: un capolavoro eccentrico e sensibile.

Euphoria

Tante volte ci sono state presentate le vite turbolente degli adolescenti ma, con Euphoria, è tutta un’altra storia.
La meravigliosa Zendaya, nei panni della diciassettenne Rue, con una voce spezzata, ci racconta la sua vita e quella di altri giovani ragazzi in otto episodi ben orchestrati, ognuno con un tema preciso, ognuno con un personaggio che ha tanto da mostrare.

Corpi, sessualità, depressione, tossicodipendenza, aborto, rapporti familiari difficili e ancora una volta identità di genere. Un trucco eccentrico e glitterato che è riuscito a creare un trend nella “generazione Z” fa da contraltare ad un lato buio e poco apprezzabile dell’adolescenza. I personaggi si mostrano, crescono, cambiano e spesso cadono, tornando sui loro passi sbagliati.
L’immedesimazione è sicuramente resa difficile dagli atteggiamenti estremi dei protagonisti che però riescono a trascinarci, non senza qualche resistenza da parte degli spettatori, in questo universo fin troppo esplicito.

L’innovazione non sta tanto nella trama ma nella sua presentazione, nell’estetica ineccepibile e nelle riprese caotiche come se entrassero nella testa della protagonista tossicodipendente. Buio e Luce. Droga e riabilitazione. La fotografia rispecchia gli intenti della serie, l’euforia si mostra nella cinepresa in continuo movimento, che segue i protagonisti dentro e fuori, che stringe sui dettagli con zoom velocissimi e poi si lascia cadere come fosse in overdose.

Colori abbaglianti, musiche assordanti, l’obiettivo ci fa letteralmente entrare nel vortice dell’adolescenza (il regista Sam Levinson ha fatto addirittura creare una stanza rotante per rendere al meglio l’idea). La HBO, in sostanza, ha superato una dura prova: l’approvazione del pubblico adolescente, mettendosi in gioco e spingendosi fino a quel limite invalicabile che gli è valso però il merito di aver creato un nuovo standard per i Teen Drama. Speciale menzione per le musiche, dove trova il suo posto la stessa Zendaya nelle vesti di splendida cantante, che rispecchiano al meglio questo caotico e altalenante mondo giovanile.

Quindi non mi resta che dirvi: buona visione.