Nel corso degli anni le serie tv hanno raggiunto uno status di grande rispetto presso il pubblico e i critici più illustri, anche grazie alle sperimentazioni, spesso rischiose, di geni lungimiranti del calibro di Tom Fontana e David Chase che hanno cambiato il modo di vedere e fare televisione (con show di successo come Oz e I Soprano). Tuttavia creare una serie tv che sappia catturare l’attenzione del pubblico è relativamente molto più facile che riuscire a mantenerla sul giusto binario per diversi anni, ed è qui che spesso produttori e showrunner cadono. Quante volte abbiamo guardato con orrore la puntata della nostra serie televisiva preferita, o che seguivamo con grande interesse, in cui capivamo che si erano spinti oltre? Accade fin troppo spesso che una serie venga spinta oltre il suo limite naturale, forzata e spremuta fino a quando non viene chiusa per via di ascolti troppo bassi, ormai privata della sua dignità. E mentre scrivendo queste parole mi ronzano nella testa i nomi di Sam e Dean Winchester, la mia mente striscia ancor più rapidamente verso un’altra serie che ha subito un trattamento che definire oltraggioso sarebbe un complimento: Dexter.

Era il 2005 quando Showtime sfornava la prima stagione del programma tv basato sui libri di Jeff Lindsay de La mano sinistra di dio, immortalando, forse nemmeno troppo consapevolmente, uno dei personaggi destinati a radicarsi maggiormente nell’immaginario collettivo del pubblico per gli anni a venire.

Il Dexter interpretato da Michael C. Hall non è solo un semplice antieroe, questo non avrebbe costituito una novità, non dopo aver conosciuto personaggi carismatici come Tony Soprano o Simon Adebisi: è una macchina di morte che conosciamo in principio come freddo e calcolatore, solo in apparenza una persona normale. dexter 2Quel che è peggio è che Dexter Morgan è afflitto da un’irrefrenabile desiderio di morte che riesce ad assecondare solo grazie all’addestramento del suo padre adottivo: l’assassino spietato al servizio della giustizia non è una persona che si batte contro i malvagi in virtù di un ideale superiore, ma è stato “creato” come tale, per evitare che la sua furia omicida e inquietantemente lucida si riversasse sugli innocenti. Con un personaggio tanto sensazionale sbagliare sembrava difficile, eppure Dexter è una serie altalenante, che alterna stagioni ricche di pathos e momenti emozionanti ad altre che risultano spesso inconcludenti. Tutto ciò non è solo triste, ma anche ingiurioso, se si pensa alla quarta stagione in cui troviamo un villain così ben caratterizzato come Trinity, interpretato da uno spietato John Lightgow, lì in forma come non mai.

Quello che la maggior parte dei fan si sono chiesti è “Perchè non chiudere la serie con la quarta stagione, o al massimo con la quinta?”. Ed è un quesito legittimo, dal momento che le stagioni successive degenerano rapidamente, pur mostrando qualche guizzo qua e là, ma niente di sufficientemente geniale da reggere il confronto con la prima e la quarta stagione, considerate dai più le migliori. Infine quello che più dispiace sono le occasioni sprecate disseminate nelle ultime stagioni, come il rapporto tra lo stesso Dexter e la sorellastra Deborah, la cui evoluzione è stata sviluppata in maniera discontinua e con un taglio che verso la fine rasentava quello delle soap opera più becere. Insomma, è chiaro che i produttori dovrebbero dovuto rendersi conto molto di più che i personaggi di una serie di successo prendono come vita nel cuore dei fan: torturarli e spremerli fino all’ultimo pur sapendo di aver oltrepassato il fisiologico limite narrativo è deleterio per entrambe le parti. Smallville docet.