Cosa accadrebbe se il tempo si fermasse e la vita sulla terra si settasse su una nuova epoca, un nuovo punto da cui partire – un po’ come è accaduto con i dinosauri circa sessantacinque milioni di anni fa? La domanda di rito sorge spontanea se ci si ferma a riflettere sulla storia raccontata da L’Ordine del Tempo, il film scritto e diretto da Liliana Cavani – a cui è stato donato il Leone d’oro alla carriera – presentato fuori concorso a questa 80esima edizione del Mostra del Cinema di Venezia.

Il film si ispira liberamente all’omonimo libro del fisico teorico e divulgatore Carlo Rovelli, per raccontare come un gruppo di amici sceglie di vivere il poco tempo che forse resta loro prima che un meteorite di circa due chilometri si schianti sulla terra.

Che la fine del mondo possa risultare un ottimo escamotage narrativo per sviluppare differenti percezioni della imminente catastrofe è cosa evidente (ce lo ricorda Don’t Look Up e ancora prima il cult action Armageddon), ma il L’Ordine del Tempo prende spunto anche dall’articolatissimo e ostico concetto di tempo per raccontare le differenti percezioni del tempo e del suo scorrere inesorabile.

L’Ordine del Tempo racconta l’avventura di un gruppo di amici di vecchia data che tradizionalmente, come ogni anno, festeggia il compleanno di Elsa (Claudia Gerini) in una villa che si affaccia sul mare. Durante il party, si viene a sapere dalla domestica Isabel (Mariana Tamayo) che un meteorite potrebbe schiantarsi rapidamente sulla terra provocando un’estinzione della vita.

Da questo momento in poi, tra preoccupazione e scetticismo, i nove amici iniziano ad affrontare il problema a modo proprio. Riallacciando storie d’amore sospese e ammettendo verità tenute private fino a quel momento, ognuno di loro cerca di trovare il proprio modo di affrontare la notizia.

Nonostante i buoni presupposti, il film tende a perdersi durante la storia attraverso dei dialoghi che non approfondiscono gli stati d’animo e i caratteri dei personaggi.
L’Ordine del Tempo è un film corale in cui solo alcuni personaggi si ritagliano un proprio spazio per lasciarsi andare a confessioni e rivelazioni sincere.

Il concetto di tempo è affrontato con semplicità e va in diretto disaccordo con i personaggi che, invece, si concentrano su discorsi pseudo esistenziali e davvero vaghi. Le scene che dovrebbero essere dedicate all’intensità emotiva, all’emozione e all’impulso della paura per una possibile fine restano superficiali sia dal punto di vista dialogico, che visivo lasciando tutto in uno stato di calma poco naturale. Un vero peccato se si pensa alle ampie sfumature emozionali che avrebbero potuto riempire il film, considerando la diversità caratteriale di ogni personaggio e il contesto perfetto per poterci tenere incollati alla poltrona.

L’idea funziona e l’inizio desta curiosità per l’attesa di qualcosa di significativo che, però non arriva e ti lascia un po’ insoddisfatto. Il tempo nominato così tante volte sembra lasciato lì nei suoi significati più frettolosi e scontati, senza tener conto del fatto che la validità del tempo dipende anche da come lo si impiega.

La questione, quindi, non si dovrebbe ridurre solo al tempo che manca alla fine, ma al tempo passato che si fonde con un presente incerto in cui c’è spazio soltanto per le proprie certezze affettive e gli errori del passato.