Nel corso della sua lunga e prolifica carriera, la celebre regista e sceneggiatrice polacca Agnieszka Holland si è rivelata piuttosto “discontinua”, non soddisfacendo sempre le aspettative di pubblico e critica. Eppure, nonostante ciò, in occasione di questa 80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ecco arrivare una bellissima sorpresa: Green Border, la sua ultima fatica, qui in corsa per l’ambitissimo Leone d’Oro. Circa due ore e mezza di puro Cinema, in cui la drammaticità del nostro presente è stata rappresentata sul grande schermo tramite immagini di grande potenza visiva, in cui viene sapientemente evitata ogni retorica.

La storia prende il via, dunque, nel 2016. Un nutrito gruppo di rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa tenta di raggiungere l’Unione Europea attraversando il cosiddetto confine verde, che separa la Bielorussia dalla Polonia. La loro impresa, tuttavia, sarà tutt’altro che facile, dal momento che il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko ha dato il via a una politica che sembra non avere considerazione alcuna per l’essere umano in quanto tale. Alle vicende dei rifugiati, così, si intrecceranno anche le storia di Julia, psicoterapeuta polacca da poco diventata attivista per i diritti umani, e di Jan, una giovane guardia di frontiera che si porrà non poche domande sul suo stesso operato e su quello dei suoi colleghi.

Diviso in quattro capitoli, interamente realizzato in un bianco e nero studiato fin nel minimo dettaglio e in cui la netta prevalenza delle ombre sulle luci parla semplicemente da sé, Green Border è a tutti gli effetti un film che ci coinvolge in prima persona rendendoci immediatamente spettatori attivi e spingendoci a riflettere e a farci numerose, decisamente scomode domande riguardanti non soltanto il mondo in cui viviamo (particolarmente interessante, a tal proposito, il parallelismo, verso la fine del lungometraggio, con la situazione odierna), ma anche noi stessi e il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che accade nel nostro continente.

In Green Border, la macchina da presa della regista segue fedelmente i suoi protagonisti durante le loro peregrinazioni e il loro quotidiano senza risparmiarci momenti in cui non v’è bisogno di parola alcuna e che ci colpiscono come un pugno allo stomaco (particolarmente cruda e dolorosa, a tal proposito, è la scena dell’annegamento di un bambino nella palude). Una regia impeccabile, al contempo, ci regala un vero e proprio manuale del cinema, in cui passato e presente si incontrano per dare vita a una bellissima armonia, in cui piccoli gesti (come il dividersi un panino insieme ai propri famigliari, mentre il simbolo dell’Unione Europea troneggia sopra le teste dei protagonisti) si rivelano veri e propri momenti chiave del film, in cui un semplice atto di solidarietà può farci dormire meglio la notte, in cui importanti citazioni cinematografiche (impossibile non ricordare, a un certo punto, il bellissimo L’Infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij) risultano perfettamente amalgamate al contesto, senza mai essere posticce o gratuite.

Green Border, dunque, è una vera esperienza visiva e uditiva. Un film monumentale, da guardare con stupore e riverenza. Agnieszka Holland, questa volta, ha davvero centrato il segno. E chissà se anche il Lido avrà modo di conferire un giusto riconoscimento a questa sua preziosa, necessaria opera.