Quanto ci piacciono i film e le serie d’animazione giapponesi! Sarà per la straordinaria cura delle immagini, sarà per i complessi, ma sempre attuali, argomenti trattati, sarà per il forte simbolismo e per lo spiccato lirismo di ogni storia, ma, da ormai parecchi anni a questa parte, l’animazione nipponica risulta essere una delle preferite da grandi e piccini in tutto il mondo. Alla luce di ciò, grandi aspettative da parte di pubblico e critica ha fin da subito sollevato la presenza in concorso alla 73° edizione della Berlinale di Suzume, ultima fatica dell’apprezzato regista e animatore Makoto Shinkai. In Suzume, dunque, Makoto Shinkai, attraverso le avventure di una giovane ragazza, ha messo in scena qualcosa di ben più grande: la storia recente del Giappone e la forza del suo popolo nel ricominciare dopo importanti tragedie.

Suzume, dunque, vive insieme alla zia nella cittadina di Miyazaki (ogni riferimento…). Un giorno, mentre sta andando a scuola, la ragazza incontra per caso l’affascinante e misterioso Souta, il quale le chiede dove si trovino alcune rovine nei pressi della città. Incuriosita, ella lo segue e scopre, al centro delle suddette rovine, una porta che sta in piedi da sola. Nel momento in cui la si apre, un enorme fiore dalla forma di un verme esce fuori, minacciando di scatenare fortissimi terremoti. Souta ha il compito di chiudere tutte le porte presenti in Giappone, al fine di salvare il proprio paese. Suzume lo seguirà in questa bizzarra avventura. A cosa andranno incontro i due?

Evidenti sono, in questo ultimo lungometraggio di Makoto Shinkai, i riferimenti ai numerosi terremoti avvenuti in Giappone negli ultimi decenni, così come – e soprattutto – al disastro nucleare di Fukushima, avvenuto nel marzo 2011. Ciò che il regista ha voluto rappresentare, infatti, è soprattutto una forte, fortissima resilienza di un popolo che non si è mai fermato di fronte a nulla, che dalle macerie ha ricostruito intere città. Particolarmente degne di nota, a tal proposito, sono le immagini delle macerie montate in modo alternato rispetto a momenti dal passato che hanno avuto luogo nei medesimi posti.

Suzume è vibrante, vivo, estremamente variopinto. Come da tradizione, i personaggi – tutti dai tratti ben decisi – risaltano alla perfezione su fondali complessi e dettagliati. I numerosi momenti d’azione, durante i quali l’adrenalina sale alle stelle (vedi, ad esempio, la scena in cui la giovane Suzume, al fine di chiudere una delle porte, rimane appesa a una vecchia ruota panoramica ormai non più funzionante), ben si alternano a scene maggiormente contemplative o a piacevoli momenti di condivisione (come quando la protagonista, durante le sue peregrinazioni, incontra di volta in volta nuove amiche pronte ad aiutarla).

Suzume è un inno alla vita, una ventata d’aria fresca, un viaggio – spesso doloroso e nostalgico – tra passato e presente, che, al contempo, risulta estremamente essenziale per costruire il futuro. Come ben potevamo immaginare, Makoto Shinkai non ha deluso le aspettative. Questo suo ultimo lungometraggio spicca all’interno del concorso della 73° Berlinale per potenza visiva, per significato, per sensibilità e fantasia.