Essere il figlio del grande David Cronenberg, si sa, può essere un’arma a doppio taglio. E non soltanto perché, nel caso in cui non si riesca a “superare” o anche semplicemente a eguagliare il proprio padre, si finisce sempre per essere indicati come “il figlio di”. Con un padre che è considerato meritatamente uno dei nomi maggiormente coraggiosi, talentuosi e sorprendenti del panorama cinematografico mondiale, infatti, è molto facile che si venga, in un modo o nell’altro, influenzati dal suo stile e dalla sua tecnica. E, di fatto, in Infinity Pool – diretto, appunto, da Brandon Cronenberg e presentato in anteprima mondiale alla 73° edizione della Berlinale, all’interno della sezione Berlinale Special – non possiamo non notare molte similarità con il cinema del ben più famoso David. Ma andiamo per gradi.

La storia messa in scena, dunque, è quella di James Foster (impersonato da Alexander Skarsgård), uno scrittore in piena crisi creativa che si trova in vacanza con la moglie Em (Cleopatra Coleman) in una sorta di “paradiso terrestre” con acque cristalline e spiagge mozzafiato. Tutto sembra andare per il meglio, finché i due non incontrano Gabi (Mia Goth) e Alban (Jalil Lespert), una coppia di sedicenti ammiratori di James, che, dopo aver cenato insieme, chiedono a lui e alla moglie di raggiungerli per una gita in una spiaggia isolata.
In seguito a un incidente sulla strada del ritorno – durante il quale James investe e uccide accidentalmente un abitante del luogo – l’uomo scoprirà che la polizia locale è particolarmente severa verso i crimini compiuti dai turisti. La pena potrebbe essere o un’esecuzione o la creazione di una sorta di “doppio”, che verrà ucciso al posto del colpevole stesso, il quale, dal canto suo, sarà continuamente costretto a guardarsi morire. Dove lo porterà tutto ciò?

Infinity Pool è, dunque, un inquietante viaggio tra reale e immaginario, tra torture e allucinazioni che già dai primi minuti, ossia quando sembra tutto tranquillo, presenta un’atmosfera che non promette nulla di buono.

Brandon Cronenberg parte indubbiamente da un’idea interessante. E, nel corso del lungometraggio, riesce anche a svilupparla in modo dignitoso. Il problema, appunto, sta, tuttavia, proprio nel fatto che il nostro Infinity Pool, visivamente parlando, somiglia come una goccia d’acqua a qualsiasi altro film di David Cronenberg, in cui corpi massacrati e sfigurati, insieme a ogni qualsivoglia violenza mostrataci senza alcun filtro ci colpisce direttamente allo stomaco.

Non solo David Cronenberg, ma anche Gaspar Noè, soprattutto per quanto riguarda luci psichedeliche e dai colori caldi che stanno a comporre immagini confuse e astratte durante i momenti in cui il protagonista ha le allucinazioni.

Infinity Pool indubbiamente si fa guardare. Indubbiamente è un lungometraggio che fa il suo dovere, intrattenendo lo spettatore per quasi due ore anche grazie a una buona gestione dei ritmi e a un riuscito crescendo di tensione e violenza. Eppure, per “passare alla storia” o, comunque, per poter far parlare di sé per ancora molto tempo, tutto questo non basta.

Ciò che manca al presente Infinity Pool è soprattutto una propria, ben marcata personalità. Riuscirà mai Brandon Cronenberg a spiccare il volo e a trovare una propria cifra stilistica? Solo il tempo potrà dircelo.