La Berlinale, si sa, da sempre è particolarmente attenta alle più importanti questioni d’attualità, sia che si tratti di questioni politiche, che di questioni puramente sociali. Poteva, dunque, un festival cinematografico di tale rilevanza restare “indifferente” di fronte al drammatico conflitto tra Russia e Ucraina? Assolutamente no. E infatti, ecco arrivare a questa 73° edizione del Festival di Berlino, il documentario Superpower, diretto da Sean Penn insieme ad Aaron Kaufman e presentato all’interno della sezione Berlinale Special Gala.

La genesi di Superpower, dunque, è decisamente particolare, in quanto i due registi avevano iniziato le riprese già nel 2021, quasi un anno prima che Vladimir Putin invadesse l’Ucraina. Quel drammatico 24 febbraio 2022, dunque, la troupe si trovava già a Kiev. Che fare, dunque? Semplice: portare avanti il progetto e vedere man mano quali forme lo stesso possa assumere. E normalmente un approccio del genere, di fatto, potrebbe anche portare a soluzioni piuttosto interessanti. Durante la visione di Superpower, tuttavia, non tutto ci convince. Ma andiamo per gradi.

Immagini di città bombardate, interviste agli abitanti del posto, corpi di bambini feriti e sparatorie fanno parte del copioso materiale d’archivio di cui i due registi si sono serviti per fornire al pubblico un quadro completo della situazione e per trasmettere appieno la drammaticità della guerra. E la cosa, di fatto, funziona e – come è naturale che sia – ha sullo spettatore l’effetto di un pugno allo stomaco.

Al contempo, però, Superpower porta avanti un’altra strada. E questa riguarda non soltanto il presidente Volodymyr Zelensky, la sua politica e il suo operato, ma anche gli incontri (spesso addirittura via Zoom) tra quest’ultimo e Sean Penn stesso. E qui casca l’asino.

Come (fortunatamente non troppo) spesso accade quando un attore si trova dietro la macchina da presa, il rischio di risultare autocelebrativi è particolarmente alto. E, purtroppo, il presente Superpower non è rimasto “immune” a ciò. Sean Penn, dal canto suo, ci appare addirittura eccessivamente impacciato e decisamente innaturale, soprattutto nel momento in cui deve rivolgersi in prima persona a Zelensky. Al contrario, l’attore ci sembra molto più a proprio agio quando si trova di fronte a “comuni cittadini”, ognuno dei quali si confida davanti alla telecamera e ci racconta come vive personalmente il conflitto.

Siamo d’accordo: durante la visione di Superpower di certo restiamo turbati. Ma questo accade, d’altronde, anche ogni qualvolta ci accingiamo a seguire un telegiornale. E a questo punto viene da porsi una domanda tanto cinica quanto sensata: qual è la vera utilità di questo documentario di Sean Penn? Cosa ci dà di “nuovo” rispetto a ciò che già conosciamo? Quale “contributo” fornisce, tale opera, alla settima arte, da un punto di vista prettamente qualitativo e/o artistico? Le risposte, sono tristemente scontate. E, alla fine dei giochi, viene da chiedersi quale sia la reale utilità di un’opera come la presente. Un’opera che, proprio per la forte autoreferenzialità di cui è pregna, lascia il pubblico ancora di più con l’amaro in bocca.