Un nome particolarmente degno di nota, all’interno della cinematografia italiana contemporanea, è quello di Salvatore Mereu. Non stupisce, quindi, il fatto che Assandira – la sua ultima fatica realizzata a ben otto anni di distanza da Bellas Mariposas, anch’esso presentato a Venezia, all’interno della sezione Orizzonti – si sia rivelato uno dei titoli più attesi – sebbene Fuori Concorso – di questa particolare 77° Mostra d’Arte Cinematografica.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giulio Angioni, Assandira conferma ulteriormente l’ottima padronanza di Mereu del mezzo cinematografico, mantenendo quella sua personale cifra stilistica in grado di rendere ogni storia viva e pulsante, al massimo del realismo, con tanto di personaggi magnetici, in grado di bucare lo schermo reggendo sulle spalle interi lungometraggi.
Questo, dunque, è anche il caso di Costantino (impersonato da un ottimo Gavino Ledda), un uomo che, in seguito a un incendio, ha perso praticamente tutto: il suo agriturismo e, soprattutto, suo figlio.
Con la sola speranza che sua nuora, al sesto mese di gravidanza, possa salvarsi, l’uomo ripercorre ciò che ha portato a quel drammatico incidente, tra una serie di flashback, monologhi interiori e dialoghi con un ispettore di polizia incaricato di far luce sui fatti.
Se, dunque, il forte temporale che, in seguito all’incendio, ha contribuito – fin dai primi minuti dall’inizio – a spazzare via tutto, ecco che pian piano vengono fuori nuovi, inaspettati risvolti, nuove paradossali situazioni, per l’immagine di un mondo che sta inevitabilmente per svanire per sempre.
Assandira, dunque, è il nome dell’agriturismo. Ma sta a ricordare anche un canto tradizionale sardo. Sta comunque a rimandare a qualcosa legato alla tradizione che viene continuamente evocata all’interno di giochi e brevi spettacolini per intrattenere i turisti, ma di cui, nella sostanza, sembra rimanere ben poco.
Costantino conduce una vita tranquilla. Suo figlio, emigrato in Germania da ormai diversi anni, si è sposato con una ristoratrice tedesca, la quale vuole a tutti i costi trasferirsi in Sardegna, al fine di avviare un agriturismo proprio a casa di suo suocero. Può, dunque, la salvaguardia di determinati ambienti dalle contaminazioni dei turisti essere più importante dell’amore per un figlio?
Mereu ci mostra un protagonista fortemente attaccato alla propria terra, ma che in questo suo figlio vede la cosa più preziosa al mondo. Quale sarà il prezzo da pagare? Fino a che punto sua nuora si spingerà, nel tentativo di manipolare entrambi? Assandira è un crescendo di emozioni e di risvolti inaspettati. Risvolti che noi vediamo esclusivamente dal punto di vista di Costantino, che la macchina da presa – portata rigorosamente a spalla – si limita a seguire per tutto il lungometraggio con fare zavattiniano, senza mai allontanarsi da lui, ma, al contrario, prediligendo primi e primissimi piani. E così, inquadrature strette stanno a simboleggiare immediatamente il punto di vista del protagonista, non sempre in grado di comprendere l’evoluzione del mondo in cui vive, ma perfettamente capace di riconoscere e salvaguardare gli affetti e i veri valori della vita.
Il pubblico, dunque, soffre con lui, scopre la realtà con lui, si sente smarrito tanto quanto lui in questa nuova realtà tanto fasulla quanto chiassosa e straniante. Una realtà di cui Mereu ha saputo perfettamente rendere l’essenza, per un cinema vero, crudo, doloroso, disincantato e spietato. Un cinema che arriva dritto come un pugno allo stomaco e che non ti abbandona nemmeno parecchio tempo dopo la sua visione.