Apprezzato già da diversi anni nell’ambito di numerosi festival internazionali, il regista ungherese Kornél Mundruczo è riuscito anche a ottenere una seppur limitata distribuzione nelle sale italiane nel 2013 dell’ottimo White God.
Dopo una carriera di tutto rispetto, dunque, ha inevitabilmente sollevato parecchie aspettative la presenza in concorso alla 77° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia del suo Pieces of a Woman, il quale, ripercorrendo brevemente con la memoria la carriera del regista, ci sembra – a oggi – il suo film più intimo e personale, che ha preso spunto da un evento realmente accaduto a lui e alla sua famiglia.
Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf) sono giovani, belli e innamorati e stanno per avere il loro primo figlio, per la precisione una bambina.
Durante il parto – organizzato in casa con l’aiuto di un’ostetrica – tuttavia le cose non vanno come sperato e la bimba muore pochi minuti dopo essere venuta alla luce. Da quel momento in avanti, per Martha e Sean le cose non saranno più le stesse.
Mantenendo il suo consueto approccio registico che punta innanzitutto a un realismo vero, crudo, estremamente vivo e pulsante, Kornél Mundruczo parte in quarta con una riuscita scena che – senza tagli né ellissi alcune – ci mostra il momento del travaglio. Una scena, la presente, che si distingue principalmente per uno spiccato lirismo e che immediatamente ci fa empatizzare con i due giovani protagonisti.
Difficile, dopo un momento del genere, mantenersi sugli stessi livelli. Difficile ma non impossibile. Soprattutto se si attua la riuscita scelta di concentrarsi sull’intimo dei personaggi – e, nello specifico, del personaggio di Martha – non abbandonandoli mai, ma, al contrario, optando per primi e primissimi piani con tanto di macchina da presa che li segue passo passo nella loro difficile e tormentata quotidianità.
E lo spettatore, di fatto, vive con loro, prova (quasi) quello che provano loro, tenta di ricominciare con loro. Questo, almeno, per quanto riguarda gran parte di Pieces of a woman. Perché, di fatto, purtroppo il regista a un certo punto sembra smarrire la via, tirando in ballo situazioni decisamente superflue che non riescono ad avere – all’interno del film – il peso sperato in fase di sceneggiatura.
Ciò vale soprattutto per il momento riguardante il processo all’ostetrica a causa di una sua presunta distrazione durante la nascita della bimba. È qui che momenti altamente toccanti come la scoperta di una fotografia si alternano a sequenze totalmente inutili e decisamente forzate che altro non danno che l’impressione che, a un certo punto, il regista stesso non sapesse come concludere questo suo lavoro.
Peccato, dunque, che determinate scelte abbiano complessivamente influito su un lungometraggio che di punti a suo favore ne ha davvero parecchi. Che sa indagare con garbo e delicatezza i complessi sentimenti umani, che vede nei due attori principali – ma anche in un’ottima Ellen Burstyn nel ruolo della madre di Martha – il suo cavallo di battaglia, che è in grado di farci diventare parte della storia già dai primi, primissimi minuti. In questo caso, perdendo di vista il soggetto principale (Martha e i suoi sentimenti) e concentrandosi su fattori esterni, il regista ha preso un abbaglio. Ma, nonostante tutto, proprio per questa sua capacità di rappresentare i sentimenti più contrastanti e complessi, ci viene da essere con lui particolarmente clementi.
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