Se il cinema che tutti noi amiamo ha avuto modo, nel corso degli anni, di svilupparsi, di trovare sempre nuovi linguaggi e di rappresentare la realtà in modo ogni volta diverso, è anche merito di uno dei Maestri indiscussi della storia del cinema stesso: il grande Fritz Lang. Il contributo del prolifico cineasta austriaco alla settima arte è stato decisivo e grazie ad alcune tecniche da lui per la prima volta sperimentate, ancora oggi numerosi registi in tutto il mondo ci affascinano, ci spaventano, ci commuovono con le loro preziose immagini in movimento.
Probabilmente, se la vita di Lang non fosse stata così travagliata e ricca di spunti, forse non si sarebbe arrivati a tanto. Perché, di fatto, il regista di Vienna (dove, tuttavia, non lavorò mai) ebbe modo di viaggiare – non sempre per scelta – in lungo e in largo in tutto il mondo, prendendo spunto e ispirazione da quanto, nel frattempo, accadeva sui set cinematografici non solo europei, ma anche statunitensi e realizzando, allo stesso tempo, qualcosa di totalmente unico e personale, vere e proprie perle della storia del cinema dove Espressionismo e Modernismo si incontrano per dar vita a una perfetta armonia.
Nato, appunto, a Vienna il 5 dicembre 1890, Friedrich Christian Anton Lang inizialmente sarebbe dovuto diventare – secondo i desideri di suo padre – un brillante architetto. Abbandonata ben presto una strada che non gli apparteneva, tuttavia, il giovane Fritz iniziò a dedicarsi alla pittura e, contemporaneamente, a viaggiare per il mondo: dall’Europa intera all’Asia, fino al Nord Africa. Già dagli anni Dieci iniziò a interessarsi e a essere affascinato da questa nuova e inquietante corrente pittorica chiamata Espressionismo. Una corrente che, a quanto pare, anche sul grande schermo aveva un forte, fortissimo impatto. Quale occasione migliore, dunque, per “dire la propria” e, allo stesso tempo, iniziare a “giocare” con questo nuovo mezzo che tanto successo aveva avuto già dopo pochi anni dalla sua invenzione?
Trasferitosi in Germania, dopo la Prima Guerra Mondiale Fritz Lang iniziò a realizzare i suoi primi film. Nel 1919 fu la volta di Halbblut, a cui seguirono L’Immagine errante (1920) e Destino (1921). L’anno successivo, invece, fu la volta di Il Dottor Mabuse, considerato ancora oggi uno dei suoi capolavori e dove già erano evidenti quelli che sarebbero diventati i segni distintivi del suo cinema: una forte componente espressionista, inquietanti giochi di luci e ombre, il tema del destino e della dualità dell’essere umano.
Fritz Lang si stava finalmente affermando sul panorama cinematografico non solo tedesco, ma di tutto il mondo.
Questi furono anni particolarmente prolifici, sebbene la vera “rivoluzione” cinematografica doveva ancora arrivare.
Nel 1924 fu la volta della serie I Nibelunghi, due film fantastico-epici, coraggiosi nello stile, particolarmente raffinati negli effetti speciali.
Il 1926, invece, vide la nascita del capolavoro Metropolis, con una grandissima Brigitte Helm, considerato uno dei più importanti film di fantascienza di tutti i tempi, il quale ha a sua volta ispirato – e continua a ispirare – numerosi artisti in tutto il mondo. L’eterna lotta tra il bene e il male, la divisione netta tra il mondo dei ricchi e la classe dei lavoratori – da sempre emarginati dalla società – un’inquietante lungimiranza nel rappresentare chi costretto a vivere nel mondo sotterraneo parlano un linguaggio universale, sempre attuale, nonostante gli anni trascorsi.
Nel frattempo, negli Stati Uniti stava accadendo qualcosa di straordinario: nel 1927 venne realizzato da Alan Crosland il primo film sonoro della storia del cinema: Il Cantante di Jazz. Ora la realtà poteva essere rappresentata sul grande schermo in modo sempre più verosimile, malgrado le prime tecniche di sincronizzazione tra il suono e l’immagine fossero ancora piuttosto maldestre e rudimentali. E anche se in Europa tale invenzione si diffuse relativamente più tardi rispetto a quanto avvenne al di là dell’oceano, significativo fu proprio il contributo di Fritz Lang nel permettere a tale tecnica di fare parecchi passi avanti.
Ci troviamo, dunque, nel 1931. Un anno prima era stato realizzato il primo film sonoro tedesco (L’Angelo azzurro di Josef von Sternberg). Il nostro Fritz Lang si apprestava a sua volta a realizzare un film sonoro. Qualcosa di straordinario stava per accadere. Con la realizzazione di M – Il Mostro di Düsseldorf, infatti, vediamo un uso del sonoro del tutto innovativo, che gli permetteva non solo di giocare un ruolo centrale all’interno del film, ma di fare quasi da protagonista assoluto. E qui, finalmente, ci imbattiamo nell’uso del fuoricampo, di cui Lang divenne immediatamente maestro indiscusso. Un’innocente filastrocca per bambini ci trasmette, in apertura del lungometraggio, un profondo senso di inquietudine e fa da perfetto contrappunto a ciò che accade successivamente. La voce angosciata di una madre che chiama la figlioletta rimbomba per le scale di un palazzo, all’interno dell’atrio vuoto, nel seminterrato. L’ombra di uno sconosciuto (l’ottimo Peter Lorre) proiettata su un manifesto che annuncia la presenza, in città, di un pericoloso killer di bambini, risveglia paure insite in ognuno di noi. Fritz Lang gestisce sapientemente tutti questi elementi rendendoli perfettamente in linea con la corrente espressionista, facendo sì che proprio il sonoro diventi un elemento di centrale importanza e scrivendo, allo stesso tempo, un importante capitolo della storia del cinema. Allo stesso modo, un’altra sua importante tesi veniva resa alla perfezione sul grande schermo: ognuno di noi è un potenziale assassino, ognuno di noi ha una doppia natura. Tesi, questa, più e più volte ripresa nel corso degli anni e divenuta, al contempo, cavallo di battaglia di numerosi altri autori (basti pensare, ad esempio, al cineasta coreano Bong Joon-ho, che nel suo Memorie di un Assassino – realizzato nel 2003 – ha esposto il medesimo concetto e che persino nel pluripremiato Parasite – del 2019 – ha ricostruito due mondi paralleli – quello “in superficie” e quello sotterraneo, memore del capolavoro Metropolis).
Ormai il cinema non era più lo stesso. Fritz Lang aveva cambiato tutto. E il suo prezioso contributo al mondo della settima arte non si sarebbe fermato. Nemmeno dopo la salita al potere di Hitler, che costrinse il regista, in seguito a una proposta di collaborazione da parte del ministro Goebbels, a una rocambolesca fuga dapprima alla volta di Parigi, poi negli Stati Uniti. Anche oltreoceano, dunque, Lang ebbe modo di proseguire il suo percorso e di dar vita a pellicole ugualmente degne di nota. Pellicole che presero spunto non solo dalle pregresse esperienze di Lang in Europa, ma anche dai dettami dell’industria hollywoodiana. Furono questi gli anni in cui vennero realizzati lungometraggi del calibro di Sono innocente (1937), La Donna del Ritratto (1944), Il grande Caldo (1953), Quando la Città dorme (1956) e La Bestia umana (1954), tratto dall’omonimo romanzo di Émile Zola, nonché rifacimento di L’Angelo del Male, diretto da Jean Renoir nel 1938.
Negli Stati Uniti Lang, mantenendo il suo inconfondibile approccio registico e memore di quanto appreso in Europa, rivelò una spiccata predilezione per il genere noir. I film da lui realizzati in questi anni – seppur di impatto minore rispetto alle sue precedenti pellicole – sono da considerarsi quasi tutti dei veri e propri gioielli della storia del cinema, impeccabili nella loro confezione e che, ancora oggi, vediamo e rivediamo con piacere ogniqualvolta capiti l’occasione.
Fatta eccezione per un breve periodo, Fritz Lang non tornò più in Europa. Gli Stati Uniti erano diventati, ormai, la sua seconda patria. Fu proprio in Germania, tuttavia, che il regista realizzò, nel 1960, il suo ultimo film: Il diabolico Dottor Mabuse, terzo capitolo della fortunata trilogia dedicata al personaggio di Mabuse, nonché perfetto coronamento di una carriera che tanta importanza aveva avuto in tutto il mondo. Lang si spegnerà solo diversi anni dopo – il 2 agosto 1976 – a Beverly Hills. Nel frattempo, numerosi furono gli studiosi e i cineasti che presero in esame i suoi film e la sua straordinaria carriera. A oggi ci ha lasciato un vero e proprio patrimonio artistico e culturale e possiamo affermare con certezza che, senza di lui, oggi il cinema non sarebbe quello che tutti conosciamo e amiamo. Grazie alle sue immortali pellicole, Fritz Lang è diventato meritatamente immortale.