La nera silhouette del servo Cesare che corre sui tetti con in braccio la fanciulla da lui rapita in Il gabinetto del dottor Caligari, l’ombra del vampiro che si china rapace sul letto dove dorme il suo ospite Hutter in Nosferatu, le lunghe colonne di operai-iloti che entrano nella fabbrica in Metropolis, le strade nebbiose di Londra dove si aggira Jack lo squartatore in Lulù, le statue animate che minacciano i due innamorati in Il gabinetto delle figure di cera.
Sono queste alcune delle immagini memorabili recanti il marchio del cinema espressionista attivo in Germania negli anni ’20. La vera novità di questa corrente sta in una scelta stilistica fortemente antinaturalistica che si affida a forti contrasti cromatici, a linee curve, a prospettive sghembe e ad una presenza inquietante delle ombre per trasmettere angoscia nello spettatore. Una tale forma di stilizzazione figurativa investe non soltanto le opere incentrate su personaggi diabolici o su vampiri, ma anche vicende tratte dalla realtà quotidiana quali drammi sentimentali e storie di strada a sfondo sociale.
Se il titolo che inaugura la corrente, Il gabinetto del dottor Caligari realizzato da Robert Wiene nel 1920, è ancora tributario della coeva corrente pittorica espressionista (tanto che i fondali e persino le ombre sono dipinti), è soltanto con Nosferatu, girato da Murnau nel 1922, che il linguaggio cinematografico si libera da ogni sudditanza teatrale e pittorica per riprendere in maniera espressionistica una realtà ambientale e scenica non manipolata in precedenza, ma resa inquietante grazie al gioco delle angolazioni e agli effetti di luce che trasfigurano le persone e le cose in direzione demoniaca senza per questo snaturarne la sostanza.
Il movimento bene esprime la condizione di smarrimento del popolo tedesco all’indomani della grande guerra e, con le sue figure mostruose, anticipa di un decennio (secondo la nota analisi di Kracauer) la comparsa sulla scena storica di Hitler, il futuro grande manipolatore delle coscienze volto ad imprese malvagie come il Caligari della finzione. Qualunque sia l’argomento dei film espressionisti, ricorrente in essi è la funzione psicologica delle scenografie, l’uso creativo della luce e l’antinaturalismo della recitazione, tutti elementi che fanno di esso,come osserva Tone, “un cinema dell’irrealtà” che scava nel profondo ed esprime la coscienza di un Io perturbato e sdoppiato (già messa in luce dagli studi di Freud e di Rank e anticipata in letteratura da scrittori della tradizione schauerromantik come E.T.A Hoffmann e da Adalbert von Chamisso).
Proficua e lunga sarà l’eredità espressionista, se soltanto si pensa alla permanenza di questo stile nel cinema noir americano degli anni ’30 o, ancora meglio, negli horror girati da Tourneur negli Usa per Val Lewton, tipo Ho camminato con uno zombie o Il bacio della pantera (un fenomeno, questo, spiegabile con l’arrivo a Hollywood dalla Germania di molti registi e operatori formatisi alla scuola espressionista e poi costretti ad emigrare oltreoceano per sfuggire al nazismo).
[…] tempo, qualcosa di totalmente unico e personale, vere e proprie perle della storia del cinema dove Espressionismo e Modernismo si incontrano per dar vita a una perfetta […]