L’ultima colonna sonora l’ha concepita di fronte a un incubo su tela in un museo di arte fiamminga a Rotterdam. Giorgio Giampà, talentuoso musicista e compositore romano 36enne, recentemente nominato ai Premi Fénix (gli Oscar latinoamericani) per la musica originale della dark comedy Tiempo Compartido (Time Share) del messicano Sebastián Hofmann – premiato per la Miglior Sceneggiatura all’ultimo Sundance Film Festival. Giampà ha cominciato a scrivere per il cinema una decina d’anni fa collezionando importanti riconoscimenti internazionali. Vincitore del premio per la Miglior Colonna Sonora al Kinotavr Open Russia Film Festival nel 2017 con le musiche di Wake Me Up di Guillaume Protsenko, in Italia è stato nominato nello stesso anno ai Ciak d’Oro (Fräulein di Caterina Carone e Il padre d’Italia di Fabio Mollo) e nel 2014 ai Globi d’Oro (Il sud è niente di Fabio Mollo). Dopo aver lavorato alle musiche di documentari come SmoKings e Butterfly, della serie tv Rai Il Cacciatore e di film come La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi, tratto dalla graphic novel di culto di Zerocalcare, è volato in Messico per firmare la colonna sonora di Tiempo Compartido, pubblicata su tutte le piattaforme digitali lo scorso 12 ottobre dalla storica etichetta discografica hollywoodiana Varèse Sarabande.

Per la fiaba surreale e sfarzosa di Hofmann, dove una coppia in vacanza in un resort a cinque stelle si scontra con altre coppie finché la paranoia prende il sopravvento, Giampà ha realizzato una partitura di notevole presa emotiva con brevi composizioni per tastiere, archi, marimba, percussioni e rumoristica in un crescendo entropico di efficacia inquietante, che scivola rapidamente dal comico al sinistro. Qualcosa di terribile sta in agguato dietro le piscine lussuose e i prati perfettamente curati del paradiso alla Lanthimos immaginato da Hofmann: qualcosa che nel sound di Giampà, che lui stesso ama definire “surrealismo tropicale”, assume i contorni di un continuo assalto convulsivo – riflesso nel ronzio di una zanzara o nel mormorio degli impianti d’aria condizionata – al quale i personaggi, con le loro inquietudini, soccombono inesorabilmente.

 

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Il seme di follia da cui Giampà deriva l’ispirazione è un quadro di Bruegel il Vecchio, La torre di Babele (1563): una montagna con una spirale di archi e contrafforti immersa quasi fino alla cima nell’oscurità, su cui vagano uomini minuscoli, fuori scala rispetto al loro stesso artefatto, visti da una prospettiva distante e destabilizzante. «Mi ero incontrato con Sebastián a Rotterdam per parlare del film e siamo entrati in un museo fiammingo per cercare ispirazione. Di fronte a La torre di Babele gli ho detto: “Ecco, questo è il film!”» ha spiegato Giampà.

Come gli uomini del dipinto anche gli avventori del paradiso tropicale di Hofmann sono insignificanti, corrono all’interno del resort – composto da due grandi strutture piramidali – “felici” come criceti in una ruota, senza essere coscienti del loro unico e vero ruolo, muovere l’ingranaggio del capitalismo. «Ci è venuto in mente di chiedere alla musica di rappresentare quell’occhio distante – ha aggiunto Giampà – qualcosa che nel film non si vede. È l’occhio del capo sadico che ci guarda e ride dall’ultimo piano? È l’occhio di quell’1% di esseri umani bramosi che posseggono gran parte della ricchezza e del potere? O è l’occhio della Natura che ci guarda e ci deride, si gode lo spettacolo degli sciocchi esseri umani che si inerpicano verso l’estinzione?».

All’inquieto labirintismo contrappuntistico della colonna sonora, che penetra come un bisturi nell’inconscio e nel rimosso, Giampà ha affidato quindi una missione diversa dal solito: «Raccontare una storia parallela che nel film non c’è: la storia degli spiriti della Natura che si divertono a guardare come ci rendiamo la vita un inferno. Ci guardano, ridono e avanzano verso di noi per riprendersi ciò che gli abbiamo sottratto e distrutto». Un prezioso omaggio al Messico surrealista di Breton e Dalì, all’occulto e all’alchimia dell’arte precolombiana, al “suono verde” di una natura selvaggia che appartiene ad un universo onirico a gravità zero.