Quando si parla di cinema, spesso la tendenza è quella di soffermarsi sugli aspetti tecnici più noti di quest’arte, quali ad esempio regia o recitazione. Altri fattori invece, più marginali nel dibattito filmico, scivolano senza remore in secondo piano, nonostante la loro cruciale importanza. Tra questi, un posto d’onore appartiene di diritto alla scenografia. Un’arte così preminente ma allo stesso tempo discreta e raffinata, tanto da passare inosservata il più delle volte. Ci vuole maestria nel saper creare la giusta atmosfera, adatta al clima della narrazione, facendo in modo che storia ed ambiente si completino a vicenda.
Detto ciò, vi sono dei casi unici nella storia del cinema. Film nei quali scenografie minimali, che potrebbero sembrare limitanti, si rivelano delle scelte artistiche consapevoli. In queste opere singolari viene quindi lasciato più spazio alla bravura degli attori, ai virtuosismi della regia e alla profondità di una sceneggiatura avvincente. Quando si accetta la scommessa di girare un film in un solo ambiente, l’esito positivo è tutt’altro che scontato. Tuttavia, la lista che vi proponiamo presenta opere di cineasti che, sfruttando in modo eccelso le loro doti artistiche, questa scommessa l’hanno vinta. Questi sono i 10 migliori film girati in una stanza sola.
“Nodo alla gola”, di Alfred Hitchcock
In America, durante la prima metà degli anni ’20, l’opinione pubblica fu sconvolta da un delitto molto efferato. Il misfatto coinvolse una coppia omosessuale che, dopo aver scelto una vittima casuale, commise l’omicidio per il puro gusto estetico dell’atto in sé. Per quanto macabra, la vicenda ispirò il drammaturgo Patrick Hamilton che scrisse una pièce intitolata The Rope. L’opera teatrale fu un successo tale da catturare l’attenzione di Hitchcock che, innamorandosene sin da subito, decise di farne un adattamento su grande schermo.
Nodo alla gola è non solo il primo film a colori diretto dal maestro del brivido, ma un esperimento tecnico non indifferente. Il film infatti si sviluppa come un unico piano sequenza di 77 minuti, composto da riprese della durata di circa 10 minuti (la durata di un rullo), montate in modo da creare continuità, sfruttando espedienti ingegnosi. In Nodo alla gola, il salotto che ospita un ricevimento tra amici di cui seguiremo tutte le dinamiche è il medesimo che, un’ora prima, aveva visto compiersi l’omicidio. All’inizio questa consapevolezza sarà un nostro esclusivo privilegio, ma gli scheletri non tarderanno a sbucare fuori dagli armadi.
“La parola ai giurati”, di Sidney Lumet
Ci troviamo di fronte ad un processo per omicidio di primo grado: un uomo viene scoperto senza vita nel suo appartamento, mentre suo figlio è accusato di essere l’artefice del crimine. Interpellata in causa la giuria popolare composta da dodici membri, questi dovranno riunirsi per decidere le sorti del giovane imputato. La storia pone le sue fondamenta nel solo ed unico ambiente in cui il tutto avrà luogo, ossia la stanza di tribunale che vedrà svolgersi il dibattito.
Datato 1954, La parola ai giurati è una colonna portante nella storia della cinematografia. Il suo titolo originale, 12 Angry Men, esprime in modo lapalissiano il succo della questione, ossia la crudeltà umana frutto della negligenza. Il responso di una prima votazione vedrà 11 giurati convinti della colpevolezza del giovane, mentre solo il giurato n. 8 (interpretato da Henry Fonda) riterrà opportuno riesaminare il caso, in quanto pervaso da un “ragionevole dubbio”. Ogni frame di questo film mostra un lavoro di composizione superbo, abbinato ad un utilizzo sapiente della luce intento a marcare la drammaticità degli eventi.
“Le Iene”, di Quentin Tarantino
Una pellicola d’esordio come Le Iene è il sogno nel cassetto di ogni regista alle prime armi. Uscito nel 1992, il film di Quentin Tarantino è diventato col tempo un manifesto del cinema indipendente. La storia è quella di una banda di malviventi impegnati a pianificare il colpo della loro vita. Tutti avranno come interesse comune la buona riuscita della rapina, tranne la talpa che si cela dietro uno di loro. Quasi la totalità dei fatti ha luogo in un capannone abbandonato, adibito dal gruppo a quartier generale.
L’opera prima di Tarantino rimarca in modo chiaro quelle che saranno le linee guida del suo cinema, ossia l’abile utilizzo dell’analessi, il black humor senza filtri, l’ambivalenza morale dei suoi personaggi e l’amore viscerale per il pulp. Anche i lunghi dialoghi son poi diventati negli anni una caratteristica chiave nello stile del cineasta, sempre pregni di spunti di riflessione e cinismo sregolato. Una vicenda tanto dinamica quanto brutale nella sua evoluzione, lasciava già intravedere all’epoca le doti innegabili di uno dei registi più influenti del cinema contemporaneo.
“Locke”, di Steven Knight
Finora abbiamo elencato film che, così come da premessa, si svolgono all’interno di una stanza sola. In Locke, questo principio è spinto ancora oltre. Seguiamo infatti il viaggio di Ivan Locke, un uomo intento a raggiungere l’ospedale che vedrà la nascita di suo figlio. Illuminato nella notte dalle fioche luci dell’autostrada, l’uomo è solo con il suo telefonino. Quando però lungo il tragitto i suoi segreti verranno a galla, il telefono sarà il suo unico mezzo per evitare lo sgretolamento della sua vita.
Se non si fosse ancora capito, il film è interamente girato nell’abitacolo di un’auto. Con Locke, Steven Knight ci propone un thriller on the road dai ritmi lenti, ma molto coinvolgente. Tom Hardy, il quale veste i panni di Ivan, dà sfoggio di una prova attoriale eccelsa, reggendo l’intera opera sulle sue spalle. Il lungo viaggio non sarà solo fisico, su ruote, ma anche psicologico, di crescita personale e di maturazione come uomo e padre. Immerso nel buio della notte, così come buio può apparire talvolta l’animo umano, Locke racconta la sua storia in modo unico e suggestivo. Una piccola perla dalla quale non rimarrete delusi.
“Carnage”, di Roman Polański
Basato sull’opera teatrale Le Dieu du Carnage, scritta dalla drammaturga francese Yasmina Reza, Carnage è una gemma della filmografia di Polański. La vicenda riguarda due coppie di genitori che si incontrano dopo che i rispettivi figli restano coinvolti in una rissa a scuola. L’incontro, partito in origine con ogni buon proposito di chiarimento, degenera in modo disastroso. I presenti sbraitano, urlano l’uno con l’altro, tanto da porre in dubbio le loro capacità genitoriali e la stabilità dei due matrimoni.
Il film è minimalista, sia nell’ambientazione che nei presupposti narrativi. L’idea è sobria, senza fronzoli, quattro persone rinchiuse in una stanza con il solo fine di sbrogliare una matassa. La fluidità con la quale si passa da questa semplice premessa ad una baraonda fatta di scontri accesi sulle tematiche più svariate è straordinaria. Tutti i quattro interpreti dell’opera, ossia Jodie Foster, Christoph Waltz, John C. Reilly e Kate Winslet, arricchiscono la pellicola con delle prove encomiabili.
“La finestra sul cortile”, di Alfred Hitchcock
Il cosiddetto “periodo statunitense” di Alfred Hitchcock, che comprende la sua produzione filmica dal 1940 al 1976, segna la vera svolta nella sua carriera. Il regista affina con cura meticolosa il suo stile nel corso degli anni cinquanta, i quali si rivelano un decennio d’oro non solo per lui ma anche per l’intera Hollywood. È difatti in questi anni così fiorenti che viene girato La finestra sul cortile, datato 1954 che vede come protagonisti Grace Kelly e James Stewart, quest’ultimo legato al regista da un sodalizio artistico indissolubile.
La storia è quella di L.B. Jefferies, un reporter di successo (James Stewart) che, a seguito di un incidente sul lavoro, è costretto in sedia a rotelle nel suo appartamento. A fargli compagnia sono le sole visite quotidiane della domestica e di Lisa (Grace Kelly), la sua fidanzata. Sconfortato dalla noia, impugna il suo binocolo e inizia a sbirciare dalla sua finestra nelle dimore altrui. Questa sua attività voyeuristica tuttavia lo condurrà ad essere il solo testimone di un tragico evento, che cambierà radicalmente il corso della sua degenza domestica. La finestra sul cortile è una delle massime espressioni artistiche del genio di Hitchcock, capace di legare immagini e sensazioni con un filo di tensione a tratti impercettibile, ma che diventa asfissiante una volta strettosi al massimo.
“The Lighthouse”, di Robert Eggers
Il 2019 passerà alla memoria come uno degli anni più prolifici sul fronte dell’industria cinematografica. È cosa rara difatti ammirare così tante opere di qualità in una singola stagione. Nel ventaglio dei film usciti lo scorso anno, The Lighthouse è passato in sordina al livello di riconoscimenti (complice anche una concorrenza spietata, per l’appunto) ma ciò non ne intacca il valore assoluto.
Nell’opera diretta da Robert Eggers veniamo trasportati su di un isola remota al largo delle coste del New England. Un vecchio faro, che si erige solenne sulla landa, è il fulcro del racconto. Seguiamo quindi Ephraim Winslow (Robert Pattinson), apprendista guardiano del faro, e Thomas Wake (Willem Dafoe) ossia l’attuale custode nonché suo supervisore. Il rapporto tra i due sarà burrascoso proprio come la tremenda tempesta che si abbatterà sull’isola, lasciandoli soli in balia dei loro caratteri inconciliabili. Interamente girato in bianco e nero, The Lighthouse sprofonda lo spettatore nelle tenebre, proprio laddove scernere gli angeli dai demoni risulta un’impresa ardua. Dopo l’acclamato The Witcher, Eggers torna alla ribalta con questo meraviglioso thriller dai risvolti dark, lasciandoci curiosi di ciò che farà in futuro.
“The Hateful Eight”, di Quentin Tarantino
Ritroviamo ancora Tarantino in questa lista, stavolta con uno dei suoi lavori più recenti. Qualche anno dopo la fine della guerra civile, una diligenza è costretta a fermarsi nel cuore del Wyoming a causa di una tempesta di neve. Il cacciatore di taglie John Ruth e la propria prigioniera Daisy Domergue sono attesi nella città di Red Rock. Lungo la strada la carrozza s’imbatte in una vecchia conoscenza di Ruth: il maggiore Marquis Warren, un ex-soldato divenuto cacciatore di taglie. Diretto anch’egli a Red Rock, rimedia un passaggio a bordo della diligenza. Al peggiorare della bufera, il gruppo decide di fare una sosta al noto emporio di Minnie. Qui vi troveranno altri sventurati al riparo dalla neve, ma dall’aria molto sospetta.
Con The Hateful Eight il regista ci propone un enigma a stanza chiusa, dove otto sconosciuti sono costretti a condividere lo stesso tetto. Le dinamiche con le quali si sviluppa l’intreccio sono accattivanti, con una suddivisione della storia a capitoli tipica dello stile tarantiniano. L’impatto visivo è strabiliante e, se vi si aggiunge la colonna sonora curata dal maestro Ennio Morricone (valsagli un Oscar), l’esperienza complessiva lascia senza parole. Un “western indoor” dove nessuno è davvero chi dice di essere.
“The Big Kahuna”, di John Swanbeck
Nel Midwest, in una suite di un hotel nel Kansas, tre venditori di lubrificanti industriali sono in attesa di incontrare alcuni clienti. Tra questi è stato invitato Dick Fuler, amministratore delegato di una grande azienda. Trattasi quindi di un cliente d’importanza cruciale per il rilancio della società per cui lavorano, visto l’imponente affare che lo coinvolgerebbe. Il piano però andrà molto a rilento, a tal punto che i tre si ritroveranno a fare i conti con le loro paranoie ed insicurezze.
The Big Kahuna di John Swanbeck è uno di quei film che non ti aspetti. Dietro un velo fatto di mero denaro e superficialità, la storia cela riflessioni sullo scorrere del tempo, sulle difficoltà della vita, sul raggiungimento della felicità. L’intero girato si regge sui suoi interpreti primari, Kevin Spacey e Danny DeVito, quest’ultimo protagonista qui di uno dei monologhi più brillanti mai scritti nel cinema.
“Perfetti Sconosciuti”, di Paolo Genovese
Concludiamo la lista rendendo omaggio ad un’opera nostrana. In Perfetti Sconosciuti prendiamo parte all’allegra serata di un gruppo di amici riunitosi assieme per una cena. D’un tratto balza fuori un’idea tanto stramba quanto intrigante: posare tutti i cellulari dei presenti al centro del tavolo, facendo sì che ogni messaggio o chiamata arrivi diventi di dominio pubblico. Il gioco inizialmente goliardico si trasforma ben presto in un’arma insidiosa, che rischia di minare gli equilibri delle loro vite.
L’opera di Paolo Genovese, uscita al cinema nel 2016, è stata una ventata d’aria fresca per il cinema italiano. Ha riscosso un successo enorme, facendo incetta di premi tra David di Donatello e Nastri d’argento. Divertente, energico, toccante, tragico, Perfetti Sconosciuti ricopre una vasta gamma emozionale, tanto che definirlo una commedia è limitativo. Un cast coi fiocchi è il principale responsabile dell’anima irriverente che traspare dalla narrazione, ricca di sfumature proprio come i suoi molteplici interpreti. Una tragedia in chiave moderna in grado di rivelare tutta l’influenza che su di noi hanno le nostre svariate vite: quella pubblica, quella privata e quella segreta.
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