Presentato alla settacinquesima edizione della mostra d’arte cinematografica di Venezia, La Profezia dell’Armadillo di Emanuele Scaringi è la trasposizione sul grande schermo della omonima graphic-novel disegnata e scritta da Zerocalcare, all’anagrafe Michele Rech.

Il ventisettenne Zero vive la precaterietà che opprime i nati negli anni ’80 e ’90 a Rebibbia, estrema periferia a sud-est di Roma, lavora in aeroporto e arrotonda facendo ripetizioni di francese, ma spera che la passione per il disegno possa garantirgli un futuro migliore. Zero ha sempre la matita in mano per illustrare locandine di concerti punk destinate per lo più ai muri e alle porte dei centri sociali e ha negli occhi milioni di domande sul futuro e sul presente destinate a lui e tutti quelli che stanno per varcare la soglia dei Trenta.

Una notte riceve una strana mail dal padre di Camille, vecchia amica d’infanzia trasferitasi in Francia e con la quale ha perso i contatti. Il testo della mail lo informa sulla morte della amica. La coscienza di Zero, impersonificata da un armadillo gigante, gli impone di indagare la vicenda per ricordare al meglio Camille e soprattutto per scavare e capire il disagio che ha dentro di sè. Così Zero, insieme, all’amico Secco, si alzerà dal divano, spegnerà la TV con le tanto amate serie e intraprenderà un viaggio in metro che lo porterà da Rebibbia al centro della capitale e infine a Tolosa per i funerali dell’amica.

Venezia 75. La profezia dell'armadillo. ZerocalcareLa profezia dell’armadillo è una tra le più importanti graphic-novel mai realizzate in italia e il suo successo è dovuto all’immedesimazione che il lettore coetaneo di Michele Rech (ma anche di altre età) prova leggendo quelle vignette in bianco e nero, colorate però con i tristi colori della precarietà, e con i malinconici toni della nostalgia, che tuttavia risplendo strappando un sorriso o spesso una fragorosa risata.

Questa base però, nel film viene in qualche modo tradita in favore di una sceneggiatura che punta quasi esclusivamente alla risata e si ricorda della profondità dell’opera di partenza soltanto nel retorico discorso finale. I personaggi nati dalla penna di Zerocalcare, in questa versione per il grande schermo non riescono mai a restituire il loro vero sapore, Zero e Secco sono piatti e unidirezionali, abbozzati e a tratti gravemente travisati, l’armadillo (interessante la scelta di far indossare un costume di gommapiuma a Valerio Aprea) è troppo delirante e poco “coscienza”.

Venezia 75. La profezia dell'armadillo. ZerocalcareLa profezia dell’armadillo si apre con una sequenza d’animazione che si trasforma nella prima inquadratura vera e propria del film e ben rappresenta il passaggio dal fumetto alla pellicola. Trasferimento ben riuscito e che dimostra una volontà di restare fedele all’originale, ma questa simbiosi tra film e opera letteraria viene però presto abbandonata. Alcune inquadrature sono riprese in maniera estremamente fedele alle vignette, ma l’opera di Scaringi cerca una strada personale, sorvola i tetti di Rebibbia, costeggia i muri di cemento armato e murales della periferia e si lascia spostare dalle rotaie della metropolitana da un punto ad un altro di Roma e, puntuale come i mezzi pubblici della capitale non sanno mai fare, alterna con buona disinvoltura presente e flashback.

il film però non riesce ad andare oltre lo schermo, si arrotola su se stesso girando attorno a siparietti comici e si chiude a palla come un armadillo difendendosi con un carapace di battute comiche che protegge troppo il vero cuore della vicenda disegnata da Zerocalcare che non fuoriesce mai e quando ci prova risulta schematico e pomposo, lontanissimo dall’originale.