Alla 80ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è arrivato il momento, a grande sorpresa, di una commedia spavalda e spassosa. È il turno di Making Of, commedia francese diretta da Cédric Kahn, che con ironia e acume ci porta a fare una passeggiata nella stravagante quotidianità di una troupe alle prese con la realizzazione di una pellicola dai toni rivoluzionari.

Nella fattispecie, seguiamo l’avventura di Simon, un celebre regista francese, coinvolto anima e corpo nel suo nuovo lavoro, una storia di operai che lottano per ostacolare la delocalizzazione della loro fabbrica. Alcuni produttori del film però desiderano cambiare il finale, orientandosi su un lieto fine, e minacciano di tagliare il budget in caso contrario. In questo caos, Simon propone a Joseph, una comparsa con il sogno della regia, di occuparsi di girare un “making of” del film, documentando così tutte le fasi del concepimento di questo rocambolesco drama operaio.

Senza prenderci in giro o sminuire l’opera, archiviamo subito l’ironica intuizione che a molti è sorta in via del tutto spontanea durante la visione, ovvero che si tratti di un “Boris francese”. A questa simpatica osservazione, però, bisogna aggiungere due brevi considerazioni.

La prima è che, in effetti, molti personaggi del film di Kahn ricordano simpaticamente quelli della serie italiana (il parallelismo Alain-Stanis è a dir poco esilarante). La seconda, però, è che Boris è stato un coacervo di genialità ed innovazione tale che, da allora, ogni qualvolta si parla di un “film sui film”, il paragone viene naturale.

Detto ciò, l’opera di Kahn fa un ulteriore passo in avanti. Trattasi infatti di un “film sul film del film”.
La storia di Making of ci racconta della nascita di un film, addentrandosi nei retroscena dell’industria cinematografica, la quale viene documentata a sua volta nella finzione narrativa da Joseph con un “making of”, appunto. La regia, gestita con abilità e lucidità, garantisce la distinzione chiara dei tre livelli narrativi. Nonostante le linee ben delineate, i tre mondi si contaminano con reciprocità. I significati intrinsechi d’uno sfociano nell’altro, le contraddizioni si moltiplicano, generando parallelismi che evocano riflessioni più profonde.

È la commedia che questa Mostra di Venezia necessitava, è la leggerezza che aspettavamo e che quest’anno è scarseggiata. In una rassegna ricca di grandi autori pretenziosi e alle volte sconclusionati, che vivono di rendita dalla nomea di “grandi autori”, la commedia di Cédric Kahn ci da uno schiaffo di realtà. Mentre gli altri millantano tecnicismi ed esclusività, il cineasta francese fa un’opera inclusiva, esplicativa e graffiante. “Il cinema è una droga”, dirà uno dei protagonisti del film. Per chi ama la settima arte, queste parole risuonano come la regina delle verità.