Era il 2016 quando avevamo lasciato Norman Nordstrom (Stephen Lang) ex veterano della Guerra del Golfo, assassino e stupratore che – a dispetto di ogni regola – si faceva giustizia da solo lasciando dietro di se una scia di morte. La linea tra bene e male si fa ancora più sottile nel secondo Man in the dark (Don’t Breathe 2) stavolta diretto da Rodo Sayagues, che firma anche la sceneggiatura insieme a Fede Alvarez.

Nei cinema dall’11 novembre, il film – prodotto da Sam Raimi – si diverte a scambiare e stravolgere il concetto di antieroe giocando sul bisogno di redenzione di un protagonista consumato dalla sua stessa ferocia.

Un protagonista pronto a difendere più che a difendersi. Otto anni dopo si fa tutore di una bambina sopravvissuta ad un incendio di una casa in cui si cucinavano metanfetamine, a cui da il nome Phoenix (Madelyn Grace). Mentre la ragazzina desidera una vita fatta di scuola e amici, Norman la tiene in casa cercando di proteggerla da i pericoli esterni. In un momento di debolezza decide di concederle un giro in città, ma la vera minaccia ha il volto di Raylan (Brendan Sexton III), che con una certa violenza e determinazione segue la giovane fino a casa – insieme ai suoi tirapiedi – con l’intento di rapirla.

Man in the Dark è un thriller che si diverte ad essere un horror se non altro per la violenza che scaturisce da combattimenti che si spingono allo stremo delle forze.
Si gioca continuamente su una suspense che punta – ovviamente – alla salvezza dei buoni. Ma chi sono i buoni? Il film, per una buona parte punta sullo stravolgimento dei ruoli lasciando che le azioni di un potenziale cattivo vengano filtrate da un suo bisogno di redenzione.
Se non altro la rabbia dei personaggi in lotta tra loro fa percepire allo spettatore una certa “imprevedibilità delle parti” per buona parte del film e le interpretazioni fanno il resto.

In Man in the Dark, Norman ad un certo punto appare come una sorta di vendicatore, un combattente incredibilmente spigliato che, nonostante la sua cecità, tiene testa agli scagnozzi sfruttando con astuzia ogni mezzo sensoriale a sua disposizione.

Con una violenza ben più marcata rispetto al capitolo precedente, Man in the Dark si diverte a scivolare un po’ nello splatter, lasciando scorrere fiumi di sangue e mostrando senza filtri o allusioni la ferocia su ogni corpo inferto.

Man in the Dark sembra non riesca a reggere il confronto con il suo predecessore. A tratti delude per prevedibilità: è facile immaginare che il protagonista voglia portare a termine la sua missione etica di salvare la giovane da fine certa.

Ogni scontro è prontamente inserito in luoghi al chiuso: la casa di Nordstrom è il primo posto in cui avvengono gli scontri e un decadente hotel abbandonato è dove si consuma il resto della narrazione.
Se nel precedente la casa era un labirinto in cui la violenza lasciava spazio anche ad un fortissimo senso di claustrofobia, ora non è più un posto sicuro. La brutalità si unisce alla suspense e diventa parte di una lotta molto più articolata volta ad un drastico finale.

Man in the dark di Rodo Sayagues: trailer ufficiale