L’applauso parte timido e in ritardo alla fine di The Light Between Oceans, nonostante la magnifica interpretazione di Michael Fassbender e la recitazione coinvolgente dell’attrice premio Oscar Alicia Vikander. Non è difficile capire le motivazioni di un’accoglienza tanto fredda alla 73° Mostra del Cinema di Venezia: il film di Derek Cianfrance è sufficientemente lento e drammatico per meritare il bollino “noioso”, ma a uno sguardo più profondo scopriamo che la ricetta cinematografia era esatta.
The Light Between Oceans è ambientato in un’Australia anni Venti perfettamente ricostruita nei suoi paesaggi ruvidi e nel sentimento selvaggiamente cattolico. Tom (Michael Fassbender), reduce della Prima Guerra Mondiale, è un uomo oppresso dal senso di colpa e lo manifesta solo con timidi silenzi. L’amore incondizionato di Isabel (Alicia Vikander) gli dona momenti indimenticabili a Janus, la piccola isola sulla quale Tom è guardiano del faro. Quella stesa terra, circondata dall’acqua e dalla desolazione, ospita due sepolture infantili frutto degli aborti spontanei che distruggono emotivamente Isabel. Un dono dal cielo giunge dopo una mareggiata. È una bambina ancora in fasce che arriva su una scialuppa insieme al cadavere di un uomo. La coscienza di Tom è quindi dilaniata: da una parte c’è l’amore della sua vita e il suo ardente desiderio di avere un bambino, dall’altra il profondo rispetto nei confronti della legge in base alla quale bisognerebbe denunciare il ritrovamento alle autorità sulla terraferma. È una storia moralmente complessa che rimanda un’eco steinbeckiana, soprattutto per quanto riguarda l’alternanza di gioie e sciagure che si avvicendano in maniera quasi karmica, come a ricordare che l’esistenza umana è soggetta alle inique leggi del divenire.
Leggendo la trama del film, si avverte subito che un’onda cattolica e perbenista invade tutta la vicenda. I tempi della narrazione sono molto dilatati, questo giustifica il mucchio di sbadigli ricevuti a Venezia, ma l’interpretazione è a dir poco sublime e le immagini sono avvolte da una fotografia soffusa e poetica. La regia è impercettibile e sorprende lo spettatore solo con qualche panoramica/cartolina dell’oceano, tuttavia il regista statunitense Cianfrance non costruisce mai sequenze fastidiose o inopportune.
Il film riflette sulla possibilità di essere madri senza aver realmente partorito. Nonostante il nobilissimo e attualissimo quesito etico, The Light Between Oceans non riesce a focalizzare lo spettatore sull’accezione del termine “famiglia” che va oltre la mera biologia. Bisogna però ricordare che la sceneggiatura è tratta dal romanzo di M. L. Stedman (Garzanti 2011) e forse il problema è proprio questo: Cianfrance non codifica il linguaggio letterario per l’adattamento cinematografico e utilizza gli stessi tempi della narrativa per le descrizioni visuali, risultando così pedante. Nel complesso, ciò che rende il film insufficiente è proprio la mancanza di un ritmo caratteristicamente cinematografico, per non parlare poi della pessima scelta di inserire immagini di struggenti baci e abbracci sovraimpressi ai titoli di coda che rimanda direttamente ai telefilm sulle ridenti e numerose famiglie presbiluterane.