Le metamorfosi del cinema americano degli anni Venti e Trenta sono la base da cui Damien Chazelle sceglie di partire per raccontare l’ascesa e decadenza di quel divismo tanto caro alla fastosta Golden Age. Dopo il successo di pubblico ottenuto con Whiplash (2014), La La Land (2016) e First Man (2018), Chazelle scrive e dirige Babylon.

Un film drammatico e ironico allo stesso tempo, prodotto da Paramount Pictures, Marc Platt production e Material Pictures, che sarà nelle sale italiane dal 19 gennaio.

Una Hollywood sordidamente festaiola che si lascia inghiottire da vizi e materialistica opulenza è lo sfondo su cui il regista inizia a gettare le basi della sua storia che inizia a Bel-Air nel 1926, ad un anno di distanza dall’avvento del sonoro.
La macchina da presa si muove sinuosamente durante la stravagante festa del produttore Don Wallach (Jeff Garlin). Qui si incontrano l’ambiziosa attrice affamata di successo Nellie La Roy (Margot Robbie) e l’aspirante attore Manny Torres (Diego Calva). Per tutta una serie di circostanze favorevoli, i due si ritrovano su un set nel deserto dando inizio alle loro carriere svavillanti ed entrano in contatto con la star del momento Jack Conrad (Brad Pitt).
Di qui a poco, però, le carriere stellari derivanti dal cinema muto sono destinate a crollare vertiginosamente con l’uscita nelle sale del primo film sonoro diretto da Alan Crosland, dal titolo Il Cantante Jazz. Dietro le quinte si accende il riflettore del fallimento che condurrà ad un malinconico declino.

Che per Chazelle sia fondamentale la musica era cosa già nota fin dal suo primo lungometraggio e in Babylon l’elemento musicale è una parte dominante, tanto che all’interno della colonna sonora si percepiscono influenze jazz sia estremamente ritmate che dolcemente melodiche, che scandiscono interazioni e scene mondane.

Per tutta la sua lunga durata, Babylon è una prorompente e abbondante forza che mette in scena le sordide dinamiche sociali che stanno dietro la macchina da presa.
Il film sfrutta l’eccesso e la stravaganza per colpire e affondare lo spettatore che resta attonito di fronte ad una storia che non punta ad un crescendo emotivo. Rimane, infatti, costante nella sua linea narrativa adoperando sprazzi di comicità velatamente cinica e incorporando una tensione drammatica che si ispessisce solo nel finale.

Manny e Nellie sono due personaggi differenti che si lasciano schiacciare dal peso del successo, separando i propri destini e crollando sotto il peso della distruttiva e mitologica Hollywood.
Chazelle celebra la Golden Age prendendo ispirazione da dive come la It girl Clara Bow citando un frammento del film The Wild Party (1929) durante la scena in cui Nellie, così come fece la Bow, gira la scena del suo arrivo al college e con la voce un po’ troppo acuta provoca la rottura delle valvole della sala del sonoro.
Durante la visione di Babylon non è difficile imbattersi anche in personaggi come Fay Zhu (Li Jun Li) la didascalista che ricorda Anna May Wong di Shanghai Express (1932).

In questa atmosfera inverosimilmente mondana, i personaggi sono parte di un caotico mondo in cui l’isteria, il protagonismo e l’essere sopra le righe rappresentano dei requisiti fondamentali. Ogni interprete riesce ad attribuire al proprio personaggio una marcata caratterizzazione data dal vizio o semplicemente dalla follia, come nel caso di Tobey Maguire che veste i panni del malavitoso, sinistro e pittoresco McKay.

Tutta la baraonda presente in Babylon suona anche come una rappresentazione conturbante marcatamente trasgressiva che ti assorbe completamente raccontando il rapido mutamento produttivo e tecnologico del cinema.
Una faccia più oscura, dove non c’è spazio per i sogni di gloria, ma c’è solo la possibilità di emozionarsi – come lo stesso Manny – di fronte a qualcosa di grande.