Sulla carta First Man aveva tutti i requisiti per essere un ottimo film di apertura per la 75° Mostra del Cinema di Venezia: un regista premio Oscar, uno degli attori più amati dal pubblico, la storia di un’icona e di uno degli eventi più importanti del XX secolo. Ma le false partenze, purtroppo, sembrano essere diventate una tradizione del festival veneziano.

Dopo l’acclamato La La Land, Damien Chazelle torna alla regia con un biopic dedicato alla storia di Neil Armstrong (Ryan Gosling) – primo uomo ad aver messo piede sulla Luna – e, parallelamente, alle fasi che hanno condotto l’Apollo 11 ad essere il simbolo, non solo di un’impresa unica nel suo genere, ma di un complesso periodo storico.

Sebbene il Programma Gemini e il successivo Programma Apollo scandiscano lo scorrere della vicenda e dell’atmosfera vissuta negli anni della Guerra Fredda, First Man è prima di tutto la storia di un uomo, di un marito e di un padre alla ricerca di un nuovo inizio che gli permetta di superare la perdita della piccola figlia Karen, morta in tenera età a causa delle complicanze legate al progredire di un tumore maligno.

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Con un ampio e cosciente uso della steadycam, il regista statunitense abbatte fin dalle prime scene l’aura di riservatezza che ha sempre contraddistinto l’astronauta, accompagnando lo spettatore nel suo quotidiano e nei momenti più privati della famiglia Armstrong. Il risultato non può che essere un ritratto inedito, in cui traspare la fragilità di un uomo che ha dedicato la sua vita alla scoperta scientifica, ma che di questa non accetta il fallimento e di una donna, Janet Armstrong (Claire Foy), che nonostante la consapevolezza del rischio, non ha mai smesso di credere nell’uomo che ha segnato la storia di un intero pianeta.

Per quanto Chazelle si dimostri un fine conoscitore della scrittura cinematografica, modificando piani e movimenti della macchina da presa a seconda dello sviluppo emotivo della vicenda, (preferendo ad esempio piani fissi per evidenziare le stasi di un rapporto forte, ma messo alla prova dalle indefinite variabili cosmiche), nemmeno la sua regia riesce a dare una scossa a questa sceneggiatura fin troppo romanzata, ad opera di Josh Singer, tratta dall’omonima biografia redatta da James R. Hansen, che ne diminuisce di gran lunga il potenziale.

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Al cineasta va comunque il merito di aver saputo scegliere un cast d’eccezione, a cominciare da Claire Foy, la cui intensità riesce spesso a sovrastare i potenti primi piani destinati a Ryan Gosling che dimostra comunque ancora una volta di essere un attore di rango, adatto sempre più al registro drammatico.

Ogni nuova produzione cinematografica può essere considerata un passo in avanti nella conoscenza e nella sperimentazione della Settima Arte, ma First Man si presenta solo come un’abitudine migliorabile.