Ogni film lavora su due livelli discontinui, quello narrativo che attiene alla coscienza e quello simbolico che attiene all’inconscio dello spettatore.
I due livelli si affiancano, si fondono e si separano in uno scambio incessante, per cui l’uno risulta indiscernibile dall’altro con il risultato che l’immaginario risulta più reale del reale.

In un film ogni immagine è sempre una immagine concreta di una immagine mentale, che è quella del regista.
Questo si spiega con il fatto che ogni artista è a suo modo uno “scompensato” salvato dal dono della forma artistica. Gli artisti sono tipi creativi, sono tipi, per dirla con Jung, “in cui il diaframma tra la coscienza e l’inconscio è più permeabile”, sono persone che sublimano le loro nevrosi mediante la loro messa in forma artistica, con il risultato di compensare lo squilibrio psichico tra il piano della coscienza e quello dell’inconscio.

Nel caso del cinema soltanto quei film che rendono universale il particolare e rendono collettivo il personale sono film riusciti nella loro funzione compensatoria che si estende anche agli spettatori.

Affinché questo avvenga il film deve favorire l’apporto dello spettatore, apporto che è simultaneamente attivo e passivo. La condizione richiesta affinché questo si verifichi è che il regista sappia integrare il piano razionale con quello irrazionale senza forzature mediante quella che sempre Jung chiama funzione trascendente e che ritiene essenziale per la riuscita dell’opere artistica.

Nella storia del cinema pochi sono i titoli in cui questa funzione può dirsi attivata sul piano della rappresentazione mentre al contrario molti sono i film dove gli psicoanalisti sono soggetti della storia raccontata in chiave biografica.

Tra i primi ricordiamo I misteri di un’anima (G.W. Pabst, 1926) su un caso di gelosia immotivata curata da uno psicoanalista, Io ti salverò (A. Hitchcock, 1945 ), dove una dottoressa scopre l’origine del senso di colpa ossessivo che tormenta un suo paziente, Marnie (A. Hitchcock, 1964) dove l’ossessione per il colore rosso della protagonista si scopre essere causata da un  suo trauma infantile che sarà rimosso con l’aiuto di colui che la ama e ancora Siberia (Abel Ferrara, 2021) una dolorosa autoanalisi sui traumi subiti dallo stesso regista con uno stile crudo e visionario che cita anche una scena simbolica ripresa da Il libro rosso di Jung.

A richiedere una chiave interpretativa psicoanalitica sono inoltre i film di Lars Von Trier Antichrist e Melancholia, entrambi dall’andamento ipnotico su uno sfondo visionario tra psicologico e soprannaturale.

Tra le opere che  hanno come argomento la vita di famosi psicoanalisti segnaliamo A dangerous medhod  (David Cronenberg, 2011) sul rapporto di collaborazione professionale i film che tra Freud e Jung fino alla loro separazione finale e tra le più recenti  anche  la serie televisiva Freud  del 2022 dove il medico in un periodo di forte crisi della sua vita viene chiamato a risolvere un caso di omicidio, lo stesso Freud che in altro film sempre del 2022 intitolato Il tabaccaio di Vienna viene visto nella sua funzione di amichevole terapeuta a beneficio di un giovane commesso di negozio prima di dover partire in esilio per Londra.

Sempre Freud lo ritroviamo citato in maniera critica nella serie spagnola realizzata nel 2022 da Oriol Paulo Quando Dio imparò a scrivere, storia di una investigatrice che nel far luce su alcuni omicidi in una struttura psichiatrica mette in discussione alcuni metodi di diagnosi e di cura impiegati dai dottori del posto in un gioco di rovesciamenti continui.

In qualche modo inerente alle dinamiche dell’inconscio è anche il problema delle dipendenze da sostanze inebrianti delle quali molto si occupò lo stesso Freud, una materia oggetto in chiave di commedia grottesca del film polacco girato nel 2018 da Bertozs Brzeskot intitolato Antyterapia dove viene denunciata la logica truffaldina di molti centri terapeutici interessati solo a far soldi piuttosto che alla cura dei pazienti.

Il rapporto tra cinema e psicoanalisi non si limita però soltanto ai film in cui si parla di psicoanalisi, esso investe la visione stessa di ogni film quale che sia il suo valore artistico. Insomma noi guardiamo il film e il film guarda noi in una sorta di riflesso speculare.

Davanti alla catena di immagini che scorrono sullo schermo l’inconscio dello spettatore si va ad infilare in tutti quei vuoti, in quei tagli e in quei prolungamenti della rappresentazione che sono ingiustificati sul piano narrativo, in tutte quelle immagini che non rappresentano nulla di definito ma che evocano molto di indefinito.

Sono immagini che suscitano in noi pulsioni pre-razionali dovute alla natura animistica e metamorfica del linguaggio cinematografico, immagini attinenti a quello che Lyotard chiama a-cinéma da lui inteso come la quintessenza del cinema puro e che obbediscono a quella “funzione trascendente” di cui parla Jung che abbiamo prima ricordato.