Un vero pilastro della storia del cinema, il grande regista surrealista Luis Buñuel. Rivoluzionario, scioccante, da qualcuno considerato addirittura “scomodo”, il regista è stato indubbiamente un genio non soltanto nello sperimentare nuovi linguaggi cinematografici, ma anche nel trattare tematiche “spinose”, puntando il dito direttamente contro le grandi istituzioni che da sempre hanno, in un modo o nell’altro, condizionato le nostre vite: il capitalismo, la borghesia, la religione.
Di centrale importanza, per quanto riguarda la realizzazione delle sue due prime opere (Un Chien andalou e L’Age d’Or, che già hanno gettato le basi di quella che sarebbe diventata in seguito la sua filmografia), la collaborazione con il grande pittore Salvador Dalì, che di queste stesse opere ha anche firmato la sceneggiatura (oltre a essersi occupato delle scenografie).
Nel 1929, dunque, ha visto la luce Un Chien andalou, un cortometraggio della durata di circa quindici minuti, nonché una delle opere fondamentali per quanto riguarda il cinema d’avanguardia e surrealista.
Una serie di brevi scene, dunque, sembrano montate senza (apparente) logica alcuna e intervallate da altrettante didascalie (le quali, a loro volta, sembrano non voler seguire alcuna linea temporale), rivelandosi, al contempo, incredibilmente profonde e introspettive, soprattutto per quanto riguarda la psiche umana e il mondo in cui ognuno di noi viene condizionato dalle istituzioni.
Due personaggi, un uomo e una donna, provano una forte attrazione l’uno per l’altra, senza mai riuscire, in realtà, a dare sfogo ai loro desideri. Un occhio tagliato con un rasoio (divenuto nel frattempo una delle immagini simbolo della storia del cinema) ci invita a riconsiderare lo spettacolo cinematografico, preparandoci a vedere qualcosa di inaspettato che, a volte, può essere molto, ma molto doloroso. Una mano, da cui escono formiche (direttamente ispirata a un sogno dello stesso Dalì) ci rimanda a qualcosa di proibito, di peccaminoso. Allo stesso modo, due pesanti pianoforti su cui giacciono altrettante carcasse di asini e a cui sono legati, a loro volta, due preti, rappresentano i fardelli che ognuno di noi deve trascinare a fatica ogni giorno. Quanto ci condizione, ancora oggi, il mondo in cui viviamo?
In Un Chien andalou, Luis Buñuel sembra non avere alcun dubbio in merito e in questa tanto surreale quando anticonvenzionale (e anche fortemente ironica) rappresentazione della psiche umana ha fatto la storia del cinema, rivelandoci nuovi modi di rappresentare la realtà, senza aver paura di mettersi contro tutto e tutti.
Stesso discorso vale per L’Age d’Or, secondo film di Buñuel, realizzato nel 1930 e anch’esso sceneggiato da Salvador Dalì. Anche qui, analogamente a quanto era accaduto in Un Chien andalou, troviamo la storia di due amanti che non riescono a consumare la loro passione.
In questo caso, tuttavia, la musica cambia (leggermente): sei episodi ci mostrano come determinate passioni vengano costantemente e inevitabilmente condannate dalla società e dalla religione. L’uomo, all’interno di un simile contesto, si sente perso, confuso, annichilito. E persino le sue più naturali pulsioni vengono severamente punite.
La chiesa, lo Stato, l’esercito svolgono qui un ruolo a dir poco centrale, all’interno di una struttura narrativa che, forse proprio per la suddivisione in episodi, potrebbe sembrare più “semplice” da seguire.
Immagini disturbanti, pregne di un pulsante eros, che rimandano direttamente all’inconscio umano indagano, al contempo, su nuovi modi di rappresentare la realtà, giocando sapientemente con montaggio ed effetti speciali e scardinando ogni regola precostituitasi. Luis Buñuel vuole a tutti i costi dire la sua e, per far sì che ciò che vuole comunicarci raggiunga la giusta efficacia, non ha paura di calcare la mano. Per fortuna.
Ricercatissimi per regia, montaggio e tematiche, Un Chien andalou e L’Age d’Or sono due opere imprescindibili per quanto riguarda la storia del cinema. Due piccoli e preziosi film per cui non sarebbe nemmeno esagerato usare il termine “capolavori”. E questo, si sa, è (purtroppo) un evento assai raro.